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Tărgoviṣte, dove Ceausescu ha trascorso le sue ultime ore.
A poco più di un’ora da Bucarest, a Tărgoviṣte è possibile visitare l’unità miltare 01417, dove il Conducator e sua moglie sono stati processati e fucilati.
Da qualche giorno sono stati riaperti i dossier della Rivoluzione. Dopo 26 anni c’è ancora chi vuole fare chiarezza su quei sanguinosi avvenimenti. Si prevedono notti insonni per Iliescu…
E’ una visita breve, si tratta solo di tre stanze, ma una di queste è ancora ben impressa nella memoria di molti di noi, che in quella sera di Natale dell’89, hanno visto quelle immagini commentate da Bruno Vespa. Per la prima volta si parlava della Romania, prima di allora un buco nero in Europa.
La loro fuga iniziata in elicottero dalla capitale terminava a bordo di una Dacia 2000 nera non lontano da questa caserma, il 22 Dicembre.
Si può provare ad immaginare le circostanze in cui è venuto a trovarsi il colonello Kemenici, nel dover gestire una situazione così complicata nella sua base. Cosa doveva farne dei due? Quali ordini doveva eseguire? Ma soprattutto di chi? Chi era al comando ora? Senza dimenticare che fuori, sul viale dei Castagni, dove si trova la caserma, la folla dei manifestanti, come in tutto il resto del Paese, inneggiava contro il Dittatore.
A Bucarest c’era il caos.
In una stanza di 12 mq Nicolae e Elena hanno trascorso le prime due notti. Su letti militari di ferro, sempre sorvegliati. Pane nero e te’ ed una bottiglia di plastica per le esigenze fisiologiche.
Le guardie che per tutto il tempo hanno sorvegliato i coniugi raccontano che Ceausecu non abbia mai dormito, più volte si sia alzato a percorrere la piccola stanza. Forse solo qualche attimo di tregua, chiedendo di avvicinare il suo letto a quello della moglie, riuscendo così a scambiare due parole con lei, a bassa voce.
Kemenici, dopo la prima notte, ricevendo ordini sempre più confusi, decide di diventare regista di quelle ultime tragiche scene. Fornisce loro divise militari e li fa salire su un camion, per portarli, sempre nell’ambito della recinzione, tra due baracche.
Alla sera, infreddoliti, rientrano in camera.
L’indomani il Dittarore perde le staffe, cerca di togliere le pesanti coperte messe sulle finestre, dato che la stanza si affacciava sul viale. Voleva parlare alla folla sulla strada, aveva l’illusione di poterla affrontare, così come ancora aveva l’illusione che l’esercito potesse fare qualcosa per lui. Quale esercito? Non era più il suo esercito, non si sa più di chi era…
Una delle guardie è intervenuta, si chiamava Boboc, c’è stata una colluttazione. Ceausescu ha perso sangue dal naso.
Più di una volta, guardando i due sorveglianti negli occhi, come a volerli ipnotizzare, ha promesso loro “soldi e gradi”, in cambio di una fuga. Quali soldi? Non aveva nulla con sè, ma era arrivato a promettere un milione di dollari…
Da Bucarest arrivano gli ordini, il nuovo nucleo al potere si sarebbe occupato della sorte dei due. Kemenici, li fa salire su un Tab, un anfibio militare, il loro ultimo rifugio. Li trasporta vicino al poligono, in attesa di altri comandi…attesa vana. Passano la notte lì dentro.
Il processo avrebbe avuto luogo nell’unità militare stessa. In una delle stanze che si possono visitare. Un processo di un’ora definito “mascarada” (pagliacciata) dallo stesso Ceausescu. Che continuava a dire :”Se avete già deciso di condannarci perchè inscenare questa pagliacciata!”
Poi, 5 minuti dopo, l’esecuzione, preceduta (e ben ripresa dalle telecamere) dagli istanti più drammatici, anche per un tiranno. “No,non legateci! Insieme abbiamo lottato e insieme vogliamo morire!I miei figli!”Grida Elena. Un corridoio, una porta, un vialetto e poi il cortile.Era il giorno di Natale.
Chi fosse interessato a visite guidate di Bucarest o della Romania può contattare Ursula
La Fondazione Parada
“Spesso, in riferimento a questo blog, mio figlio Paride mi accusa di mettere in evidenza solo gli aspetti positivi della Romania. Dice che scriviamo poco di quello che c’è dietro l’angolo. E’ vero, ne parliamo poco.
Questa volta facciamo di più che girare l’angolo, andiamo nei bassifondi, per raccontare che cosa succede nei sotterranei di Bucarest.”
In una fredda e piovosa sera di marzo, in compagnia dell’amico Franco Aloisio, che da 17 anni presiede la Fondazione Parada Romania, siamo andati ad esplorare il sottosuolo, a vedere, ma soprattutto a conoscere i bosketari, ovvero ragazzi che vivono nella rete di canali che si trovano sotto le strade di Bucarest.
Per chi non conoscesse questa fondazione sarebbe bene vedere il film di Marco Pontecorvo “Parada”, che racconta la storia del mimo Miloud , che attraverso la sua arte e un sorriso è riuscito ad avvicinare questi ragazzi con cui la vita è stata davvero impietosa. Dopo averli avvicinati e stabilito dei contatti, è nata una rete che si presta ad offrire loro gli elementi base per il sostentamento ed in alcuni casi molto di più.
I documentari girati intorno alla Gara de Nord, hanno fatto il giro del mondo, per tutti si tratta dei giovani delle fogne di Bucarest, che rubano e sniffano colla. Una definizione così toglie dignità al genere umano.
Non si tratta di fogne, quelle lasciamole ai topi e agli scarafaggi. Si tratta di una rete di gallerie, estesa sotto tutta la città, attraverso la quale passano tubi di acqua calda; un sistema centralizzato costruito in epoca comunista per portare nelle abitazioni acqua e riscaldamento. Nelle sale sotterranee, dove gli addetti alla mautenzione lavorano in caso di guasti, molti giovani senza casa trovano riparo, soprattutto d’inverno.
Ma chi sono? Sono più maschi che femmine, hanno un’età media di 13-15 anni, e storie comuni: famiglia numerosa senza mezzi, orfanotrofio, abbandono, violenza familiare….e tutti preferiscono la strada, perché, come dice Franco, una volta assaggiata la totale libertà raramente tornano indietro, nonostante tutto.
Fanno tenerezza, si vede che cercano di ricreare una sorta di famiglia, dove i grandi si prendono cura dei piccoli, dove la solidarietà è fondamentale.
Riccardo, ha 17 anni e sta per diventare papà.” Lo voglio questo figlio” ci dice.
Bia, ha 15 anni. Da 3 vive sulla strada, da quando la madre è andata a lavorare in Grecia, e lei non ha voluto seguirla. E’ stata in orfanotrofio, poi la nonna l’ha presa con sé, ma Bia è scappata. Sembra una ragazzina all’uscita da scuola, jeans, camicia a quadretti legata in vita, giacchino nero di pelle finta.
Il fenomeno dei bambini di strada risale ai primi anni ’90, forse come conseguenza del famoso decreto 770 del 1966 che vietò l’aborto per incrementare il numero di nascite e creare una generazione di „uomini nuovi” cresciuti nella fede comunista. Da allora ci fu una distinzione tra i figli nati “per amore” e quelli nati “per decreto”. C’era la fame, ma si doveva prolificare…con tutte le conseguenze derivanti, e un aumento smisurato di figli abbandonati, messi nei Camin de copii (orfanotrofi).
Con la caduta del regime e il mal funzionamento dell’apparato statale, negli anni ’90 si incominciarono a vedere i primi bambini „di strada”, alcuni scappati dagli orfanotrofi, altri da situazioni familiari di degrado, povertà e violenza. E tutti venivano a Bucarest, la grande città.
Sono passati quasi trent’anni, ma il fenomeno persiste, intere generazioni sono nate in strada.
La grande città ha un fascino, ma si finisce in una giungla, una giungla di diseredati, che vivono di espedienti. Non muoiono di fame, a Bucarest è impossibile morire di fame, ma finiscono con lo sniffare colla (Aurolac), o farsi di eroina, che ora si trova a prezzi da supermercato.
La nostra serata è iniziata nel centro diurno della Fondazione Parada, dove un’ equipe di assistenti, educatori e psicologi si occupano di molti questi giovani, offrendo loro servizi scolastici, documenti, cure mediche, oltre ai generi di prima necessità, ovviamente.
Accompagnate da Iuliana, l’assistente sociale, siamo andate a incontrare alcuni di questi ragazzini che, tra l’altro, vivono anche in pieno centro. Faceva freddo e pioveva, loro, spuntati fuori dal nulla, ci sono corsi incontro appena ci hanno visti e si sono presentati dicendo il proprio nome e stringendoci la mano. Per nulla intimoriti dalla presenza di sconosciuti hanno incominciato a raccontarci che la cosa che più gli piaceva era giocare a pallone. Hanno mangiato in silenzio i panini portati da Iuliana, che tutte le sere fa lo stesso giro, poi ci hanno spiegato dove dormivano, tutti insieme, come una famiglia. Bia era l’unica ragazza.
Abbiamo capito che il lavoro che fa Parada da vent’anni non è solo portare assistenza ma offrire una speranza, quella che Miloud ha portato con l’arte circense. Per molti di loro questa diventa un lavoro, ed è bello vedere che entrano nel circolo virtuoso di voler aiutare altri ragazzi come loro.
Parada diffonde gli spettacoli dei ragazzi di Bucarest, che da un mondo „di sotto” escono per salire sui palcoscenici, dove si sentono protagonisti e non più vittime della totale indifferenza.
Il prossimo spettacolo sarà a Milano, ”Parada-is”, il 2 e 3 Aprile al Teatro Fontana.
“Intorno a mezzanotte siamo tornate a casa ognuna coi suoi pensieri, con noi c’era anche Matilde (mia figlia, che deve dedicare alcune ore al volontariato, che contano come voto a scuola). Prima di andare a dormire mi ha guardata dicendomi grazie per la buona vita e l’amore.”
E’possibile fare qualcosa per loro.
Dal 2000, a Parada si è affiancata l’Inter Campus, organizzazione con a capo Carlotta Moratti, offrendo un progetto sportivo ed educativo attraverso il calcio.
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Il giardino di Brâncuși a Targu Jiu
Targu Jiu si trova in Oltenia, a circa 300 km da Bucarest, ed ospita all’aperto le opere del grande scultore Constantin Brâncuși .
Nato il 19 Febbraio del 1876 (quest’anno ricorrono i 140 anni) nel villaggio di Hobitza, non lontano da quì. Dopo aver studiato arte a Craiova e in seguito a Bucarest, nel 1904 si reca a Parigi, a piedi, impiegando circa due mesi.
Qui, i suoi amici sono August Rodin, Amedeo Modigliani, Henri Matisse, Marcel Duchamp e Henri Rousseau.
Sempre alla ricerca del signifcato dei simboli e della spiritualità arcaica della sua terra rumena, come lo descrive lo storico delle religioni Mircea Eliade, Brâncuși è apparso ad altri come lo spregiudicato ideatore di oggetti scandalosamente in bilico tra la forma e l’informe, tra arte e non arte.
Curioso il caso giudiziario del 1926, legato all’esportazione di una sua opera d’arte astratta, evento noto con il nome di «Caso Brâncuși». Un processo contro le Dogane degli Stati Uniti per stabilire se la sua scultura “Uccello nello spazio” fosse soggetta ad imposta (240 dollari)in quanto manufatto o dovesse essere considerata un’opera d’arte.
Circa 10 anni prima Marcel Duchamp, aveva inviato un orinatoio alla mostra della Society of Independent Artists, presentandolo come “Fontana” e la questione di dover porre un limite alle possibilità dell’interpretazione e dell’autonomia artistica ritorna con forza negli interrogatori della corte.
Brâncuși ha dedicato le opere monumentali di Targu Jiu alla memoria dei caduti nelle lotte per la difesa della città, durante la prima guerra mondiale. Tornato nel Paese nel 1937 , in un anno, ha realizzato più opere all’aperto lungo la strada chiamata oggi “La via degli Eroi”.
Su questa strada, chiamata anche “L’Asse Brâncuși ”, si trova il ponte dove, il 14 ottobre 1916, dopo duri combattimenti, la popolazione della città è riuscita a bloccare le truppe tedesche. Vicino al ponte, sulla riva dello Jiu, c’è il Parco dove si trovano le sue opere scolpite in pietra.
All’ingresso c’è la „Porta del Bacio”, posto in cui, tradizionalmente, si fanno fotografare gli sposi. Sulla stradina dietro la Porta, si trovano da una parte e dall’altra, delle sedie di pietra, a forma di clessidra e alla fine un’altra opera di Brâncuși – Il Tavolo del Silenzio – circondato da dodici sedie rotonde di pietra, sempre a forma di clessidra.
Al polo opposto dell’asse si trova la famosa Colonna senza fine, alta 30 metri e formata da moduli di bronzo, a forma di clessidra, illuminata di notte da fari, come tutte le sue sculture a Târgu Jiu. Le sue opere non hanno mercato. Sono tutte nei più grandi musei come il Guggenheim Museum di New York, la National Gallery of Art di Washington, il Museum of Modern Art di New York , il museo Penny Guggenheim di Venezia, e naturalmente quello di Arte Nazionale Rumena di Bucarest.
E’ morto ricco e famoso, ma con poche cose, quelle che poi verrano trovate nel suo studio. Qualche libro, qualche disco di musica classica. E poi appunti sparsi su quaderni e foglietti, sui banchi di lavoro, tra le sculture e la polvere di marmo. Frasi e riflessioni raccolti nello straordinario volume “Aforismi”.
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A Sinaia, Peleş, il castello delle meraviglie
Quando si arriva ai piedi del castello di Peleş si resta a bocca aperta, sembra proprio quello delle fiabe! Nel bel mezzo di una foresta montana, nei pressi di Sinaia, località sciistica che dispone di ben 22 km di piste, è preferibile visitarlo in inverno. La neve ne accresce il fascino.
Esternamente tipico esempio di architettura bavarese,all’interno diversi stili si accostano magicamente di tra loro, barocco, neorinascimentale tedesco e italiano e perfino rococò.
Inaugurato nel 1883 da Carlo I di Romania, ha il primato di essere il primo maniero al mondo alimentato completamente con energia elettrica prodotta in loco.
All’ingresso vi è la statua di Carol I di Raffaello Romanelli, lo stesso della statua equestre di Carlo Alberto dei giardini del Quirinale.
Ha una superficie di 3.200 metri quadrati, 160 stanze, ognuna con un tema che rispecchia diverse culture del mondo. Questi variano a seconda della funzione (uffici, biblioteche, armerie, gallerie d’arte) o per stile (fiorentino, turco, arabo, francese, imperiale). Tutte le camere sono estremamente e lussuosamente arredate, decorate nei minimi dettagli.I lampadari sono in vetro di Murano, le porcellane di Sèvre, e alle pareti pelli di Cordoba.
Si tratta della residenza preferita di Carlo I ma soprattutto di sua moglie Elisabetta di Wied, scrittrice conosciuta col nome d’arte di Carmen Sylva.
Quest’ultima ha seguito personalmente i lavori, per i quali sono stati necessari 400 artigiani, provenienti da tutta Europa, e così annotava nel suo diario:” Gli italiani erano muratori, i romeni costruivano terrazze, gli albanesi e i greci lavoravano la pietra, i tedeschi e gli ungheresi lavoravano il legno. I turchi costruivano mattoni. Gli ingegneri erano polacchi, mentre gli scalpellini erano cecoslovacchi. I francesi erano disegnatori, gli inglesi erano alle misure. Si potevano osservare centinaia di costumi nazionali e parlavano, litigavano e cantavano in quattordici lingue in tutti i dialetti e desinenze, un mix gioioso di uomini, cavalli, carri, buoi e bufali domestici.”
Il castello ha avuto il suo periodo di gloria, quando ha ospitato, oltre a re ed imperatori (tra cui Francesco Giuseppe I d’Austria e l’imperatrice Sissi, grande amica di Elisabetta) anche tanti grandi artisti dell’epoca: Sarah Bernhardt, George Enescu, Pierre Loti, Gustav Klimt (che ha dipinto le pareti della sala del teatro in cui, per la prima volta in Romania è stata proiettata una pellicola cinematografica).
Elisabetta, era una grande mecenate ed uno spirito piuttosto anticonformista per l’epoca, è sua questa frase: ” La moda è fatta per le persone prive di gusto, l’ etichetta per le persone sprovviste di educazione, e le chiese per quelli che non hanno religione” .
E’ un giro piuttosto lungo, quasi tutte le stanze sono visitabili, ed in ognuna ci si sofferma ad ammirarne i particolari.
Una volta usciti, si passa davanti alla residenza di Peleşor, di gran lunga più modesta, voluta da Maria (di Sassonia-Coburgo, nipote della Regina Vittoria, moglie di Re Ferdinando). Qui si trova una stanza tutta d’oro , le cui pareti sono interamente ricoperte da foglie di cardo, simbolo della Scozia,la sua patria.
Ma le meraviglie di Sinaia non finiscono qui. A questo punto vale la pena raggiungere l’Hotel Ioana, all’interno del quale c’è uno dei ristoranti più spettacolari di tutta la Romania, il Forest. Costruito nel bel mezzo di una foresta, e quando dico in mezzo significa che si è tra gli alberi, che continuano a crescere indisturbati tra i tavoli. Il pavimento di legno, sospeso a mo’di palafitta, è fatto a soppalchi che delimitano le zone del ristorante. Difficile da descrivere e nessuna foto è capace di mostrare lo spettacolo che offre.Occorre andarci!
La Transilvania è in cima alla top ten delle regioni turistiche consigliate dalla Lonely Planet per 2016, c’è da stupirsi?
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curtea de arges e dintorni
Senza saperlo Stefania ed io siamo state lo stesso giorno a Curtea de Arges. Curioso. Purtoppo non ci siamo incontrate, io venivo da nord-est, lei da sud.
Dopo aver passato il fine settimana a casa di un’amica Tedesca a Pestera, uno di miei posti preferiti, con un panorama che ogni volta mi sento in obbligo di fotografare, siamo partite in tre alla volta di Horezu.
Lungo la strada abbiamo deciso di fermarci a Campolung, dove si trova l’epigrafe più antica della Romania (1300) sul sarcofago di Lorenzo da Lungo Campo, un cavaliere forse di origini italiane, e a Curtea de Arges.
Lì abbiamo visitato le stesse due chiese di Stefania, ma la più bella è, indubbiamente, la Biserica Domneasca con i possenti pilastri su cui poggia la cupola, i colori degli affreschi, l’atmosfera. Lo stile bizantino si vede sia nella pianta che all’esterno, decorato semplicemente con pietre e mattoni che formano delle geometrie. La chiesa è poco visitata, che è sicuramente un pregio, se si considera la bolgia che affolla invece il monastero.
Da Curtea de Arges abbiamo proseguito per Horezu dove siamo rimaste due giorni a esplorare la zona.
Se non fosse stato per l’aiuto di un amico del posto, non sarei mai riuscita a raggiungere quello che ho visto. Tutte e tre: Petra, Ruxandra (romena, storica dell’arte e direttrice di musei) e io conosciamo la Romania e parliamo Romeno, ma anche così non è facile entrare nella vita della gente.
Siamo state a parlare con Aurica, 100 anni, che durante la seconda Guerra Mondiale venne fatto prigioniero dai Russi e portato in Siberia. Abbiamo visto una chiesetta del 1487. La sua iconstasi apparteneva all’eremo di Sfantu Ioan, che venne distrutto dalla piena del fiume e l’iconostasi salvata dalle acque venne posta nella chiesa del villaggio. Siamo entrate in una delle poche case di campagna, ancora “in piedi”, che risale al 1800. Siamo passate per un paese di Rudarii, gli zingari che lavorano il legno. Abbiamo visto come una semplice famiglia romena, padre vedovo e 5 figli, con il lavoro manuale di tutti e un po’ di soldi fatti lavorando all’estero (non in Italia!) hanno costruito un “resort” per la pesca alla trota. E abbiamo finito a casa di Stefan in un trionfo di marmellate, sciroppi, formaggio fresco, cetriolini sott’aceto, frutta sciroppata e liquore di ciliegie, tutto fatto in casa. Abbiamo discusso di arte, storia, politica, religione, di corruzione e di quanto si potrebbe fare per salvare il patrimonio del Paese, se solo il denaro andasse nella direzione giusta. Mi sono fatta dare da Narcisa, la moglie di Stefan, varie ricette e abbiamo imparato che in campagna la gente si cura ancora con le piante, fa bene ed è anche gratis! L’aspirina? Perché comprarla? Basta la corteccia del Salice. Dalla Betulla, invece, si ricava un liquido denso come il miele, che cola, dopo aver inciso la corteccia, non ricordo a cosa serva, ma solo l’idea che si possa succhiare con una cannuccia la linfa di un albero mi fa impazzire!
Dulcis in fundo, lungo la strada abbiamo incontrato due famiglie nomadi con carri e cavalli, sempre più raro di questi tempi.
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Lipscani
Bucarest cosmopolita, Bucarest superficiale, Bucarest corrotta, veloce, audace, demolita, ricostruita, cadente, polverosa, moderna, e ancora tanti altri aggettivi, tutti veritieri. Spesso chi ci abita si trova a discutere dei molti aspetti di questa città. Si discute sullo stile di vita, sul sistema fiscale (di gran lunga più vantaggioso di quello italiano), sul colore dell’acqua che esce dai rubinetti, sulle possibilità che offre o non offre, e i punti di vista possono essere molto differenti. Ma su una cosa ci si trova tutti d’accordo, quando alla sera si decide di andare a Lipscani, un luogo che placa ogni controversia.Si tratta del centro storico della città, dove intorno alle mura dell’antica corte principesca fatta erigere da Vlad Tepes, si sviluppa un’isola pedonale che non conosce tregua.
Il nome Lipscani viene dato nel 1750, perchè molti dei mercanti venivano da Lipsia a vendere tessuti ed altri prodotti, creando un fulcro commerciale ed artigianale. Ancora oggi le strade portano il nome dei negozi che le caratterizzavano : Blanari (dei pellicciai), Selari (dei sellai), Gabroveni (dei fabbricanti di coltelli), Sepcari (cappellai), Zarafi (dei cambiavalute), Postei (delle Poste).
Quattro locande (Hanul), ancora esistenti, ospitavano i viandanti, ma di queste solo una ha conservato l’aspetto originario di caravanserraglio, si tratta di Hanul Manuc , con una grande corte che serviva ad ospitare i cavalli con le stanze numerate “a ringhiera”. All’interno si trovano ora un ristorante libanese e Starbucks.
Negli anni del comunismo Lipscani ha subito un forte degrado, nei piani urbanistici del Conducator c’era la demolizione del quartiere in favore delle solite grosse colate di cemento, ma fortunatamente non ne ha avuto il tempo. Pur continuando ad esserci esercizi e magazzini (vuoti), il genere che più andava era la categoria Consignatia, una specie di Banco dei Pegni. Questo tipo di bottega costituiva l’unica possibilità di comprare (previa coda di ore) merce proveniente dall’occidente come jeans, scarpe e cosmetici. Era consuetudine, ricevere, per chi aveva parenti all’estero, i celeberrimi pachete di roba occidentale. Quello che non interessava al destinatario veniva appunto offerto al mercato con questo sistema.Oggi, in questa area, all’alternarsi dei soliti brand di cui l’Europa è piena, continuano ad esserci piccoli negozi antiquari,di souvenir, di abiti da sposa, calzature,ecc. Ma lo shopping non è il motivo per passeggiare a Lipscani.
Qui si viene a respirare il buonumore! Le strade che si intersecano sono piene di gente e di locali, e ce n’è per tutti i gusti.
Dal Caru cu Bere (il ristorante più antico , si deve provare lo stinco), alla pizza più buona di Bucarest, Il Peccato. Dal turco Divan (che offre danza del ventre mentre si cena), al greco Meze per ascoltare il bouzouki.
E ancora pub irlandesi, ristoranti tipici rumeni, sushi, la Cremeria Emilia (un ottimo gelato al pistacchio), per terminare con i Covrigi (Bretzel) e Gogoasi (pizza fritta), il tipico cibo “da strada”.
E la notte? Appena passata la mezzanotte inizia la Lipscani by night. I locali si trasformano in discoteche, e la gente si moltiplica. Vi è l’imbarazzo della scelta, e se si considera che non esiste il biglietto di ingresso, si pagano solo i cocktail (media 5 euro), si fa allora il classico tour che termina alle luci dell’alba.
Si scende nei seminterrati come il Beluga, si sale con l’ascensore come al Nomad Sky Bar, o si attraversa il Pasajul Macca-Villacrosse (galleria tra due palazzi con tetto in vetro, per avventori di narghilè).
Insomma, è uno scenario che lascia piacevolmente frastornati e che nessuno si aspetta di trovare a Bucarest, nella “triste Romania”, una Romania che in questo momento storico di crisi per il resto d’Europa, sta andando controcorrente e sta crescendo…
E’questo il motivo per cui dico che fare un giro qui serve al buonumore, è bello vedere nuove attività commerciali che aprono, quando torno in Italia vedo locali che chiudono….
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Le tenute rurali del Principe Carlo
www.ruraltourism.ro è un sito che propone di fare una vacanza diversa in Romania, ovvero nelle case rurali.
Che si decida di andare a visitare i castelli della Transilvania, i monasteri del Maramures o della Bucovina, piuttosto che il grandioso ecosistema del Delta del Danubio, poco importa. Entrare in contatto con la natura ha sempre un suo perchè, e queste accoglienti dimore sparse per tutto il territorio offrono una buona occasione per farlo. Solitamente sono non troppo distanti dai centri urbani, ma nello stesso tempo rappresentano un oasi di pace incontaminata, lontano dai rumori e dall’aria pesante da cui a volte si ha l’esigenza di stare lontani.
Si tratta di case di campagna, in paesini piccoli, che spesso si sviluppano sui lati di un’unica strada. Hanno un limitato numero di stanze, accoglienti e con servizi, e costano pochissimo! Il prezzo varia dai 50 agli 80 lei al giorno a persona (meno di 20 euro), una piazzola in un campeggio del Gargano costa di piu’, ho appena verificato.
La colazione è quella tipica rumena, formaggi, kiftele (polpette), zacusca (buonissima, ma pur sempre una peperonata), uova, oltre a marmellate, ecc. Tutto rigorosamente fatto e prodotto in casa, dato che orto e animali rientrano sovente nel contesto di queste abitazioni.
Molte volte dispongono del famoso carretto rumeno trainato dai cavalli e munito di targa, quello che si vede in quasi tutte le immagini della Romania, perchè non approfittare e fare un giro?
Tutto è molto autentico, soprattutto perchè non è ancora preso d’assalto dai turisti.
Se invece alla dimora semplice si preferisce una tenuta di campagna con un pò piu’ di charme, in Transilvania esistono le tenute di Carlo d’Inghilterra, che amando molto questo paesaggio, ha acquistato egli stesso delle proprietà, e viene in visita qui ogni anno.
Dal 2000 al 2013 ha presieduto egli stesso la Mihail Eminescu Trust,un’organizzazione nata nel 1987, allo scopo di preservare e restaurare gli antichi villaggi.
Il rischio di questi borghi è sempre stato il deterioramento.
Prima con Ceausescu e la sua mania di sopprimerli in favore di un’industrializzazione forzata a scapito dell’agricoltura e degli antichi mestieri, e dopo con l’esodo post rivoluzione degli abitanti, per lo piu’ di origini sassoni, che tornavano in Germania.
Recentemente il principe ha anche lanciato una campagna per la tutela del patrimonio rurale rumeno, creando la prima fondazione che porta il suo nome fuori dalla Gran Bretagna, Commonwhealth e USA,spiegando in un’intervista il suo attaccamento a questo paese.
Le sue tenute si trovano non lontano da Brasov e Sighisoara, e sono gestite dal Conte Kalnoky, che pare abbia legami di sangue con lui.
Una di queste è a Viscri, un villaggio sassone che si sviluppa intorno ad un’imponente chiesa fortificata del 1225, che insieme ad altre, fa parte del Patrimonio Mondiale dell’Unesco.
Transalpina Road
La Transalpina (DN67C), collega la Transilvania con l’Oltenia, passando attraverso i monti Parang,dei Carpazi Meridionali, ed è la piu’ alta della Romania (2145m).
Come laTranfagarasan, è una di quelle strade alpine che richiamano i turisti perchè offre uno scenario montuoso spettacolare. Ma non è una passeggiata, anzi, diciamo che è roba da iubitori de adrenalina, da temerari. Le autorità rumene sconsigliano di percorrerla, visto che in una serie di tratti non è neanche asfaltata, e la cartellonistica che si incontra ricorda che si tratta di “propria raspundere“, ovvero a proprio rischio e pericolo.
Inaugurata nel 1938 da Carol II (motivo per cui viene chiamata “Strada del re”), in realtà non mai stata del tutto terminata. Molti lavori sono stati lasciati a metà a causa delle insolvenze delle ditte contrattiste, con il risultato che oltre a mancare il manto stradale, mancano parapetti e segnaletica. A questo si aggiunge che trattandosi di un terreno franoso, in alcuni punti, la doppia carreggiata si riduce ad una , perchè l’altra è coperta di massi. E che dire delle buche, che ovviamente il guidatore tende ad evitare…peccato che anche chi arriva dal senso contrario fa la stessa cosa!
Ma una volta presa coscienza di questo, percorrerla è davvero emozionante.
Trovandoci a Sibiu, l’abbiamo percorsa da Nord verso Sud, da Saliste a Novaci, e a mio avviso è il modo migliore di percorrerla in quanto con questa direzione, le cime piu’alte si trovano quasi alla fine del percorso, insomma vi è un vero e proprio crescendo di emozioni. Strada facendo si incontra di tutto, nidi di cicogne sui pali della luce (consuetudine in Transilvania), carretti trainati da cavalli, volpi (una ci ha attraversato la strada), paesini in cui il tempo sembra essersi fermato.
Tra questi, Jina, dove alle spalle di abitazioni piccole e colorate, una attaccata all’altra, spunta una spropositata cattedrale bianca. Cosa ci fa questo Taj mahal dietro le casette del Monopoli? Si tratta della Biserica Sf.Mihail si Gavril, può accogliere 2000 persone ed ha ben due entrate, una per le donne e l’altra per gli uomini In un paesino di 4000 anime…. Bah.
Una tappa è bene farla al Lago Tau, dove l’hotel Papasul Regeului offre un ottimo ristoro con buoni prezzi. Anche solo una cioccolata calda merita, visto che la temperatura qui inizia ad abbassarsi…
La strada è piuttosto stretta, e non ci sono aree di sosta, se non quelle obbligate dove ci si ferma per fare foto ed ammirare il panorama. Queste, a differenza della Transfagarasan, non sono molte, ma ugualmente sono prese di mira dagli ambulanti che offrono cibo e souvenir. Una di queste è il Lago Oasa (siamo a 1255m ), formato da una diga.
E’questa un’altra tappa consigliata, ammirare il paesaggio dal ponte, avendo tra le mani un kurtoskalacs caldo, dolce tipico di origini ungheresi, cotto sulla brace e rotolato nello zucchero, è impagabile.
Si continua a salire, si incontrano mucche, pecore al pascolo e…cani, anche piuttosto arrabbiati che disturbano lo scenario bucolico e preoccupano non poco (dover cambiare una gomma in questa circostanza non è auspicabile, non c’è neanche il segnale in alcuni punti).
Il Pasul Urdele rappresenta il punto piu’alto. Non ci sono parapetti e si susseguono una serie di curve a gomito per circa una decina di km, la temperatura si abbassa fino ad arrivare a 7/8 gradi, e si arriva nel tratto che si trova su tutte le immagini della Transalpina. Quest’ultimo pezzo, nel nostro caso, è stato accompagnato da una fitta nebbia, che nella sequenza di tornanti, ha contribuito a rendere il tutto sicuramente piu’ suggestivo, per gli altri, a me ha fatto venire il mal di mare!
Sighetu Marmatiei e le vittime del comunismo.
“Se la giustizia non riesce ad essere una forma di ricordo, sarà il ricordo ad essere una forma di giustizia”. Sono queste le parole di Ana Blandiana, poetessa romena (tradotta in 23 lingue) e grande sostenitrice dei diritti civili, che insieme al marito Romulus Rusan, si è impegnata a trasformare il penitenziario politico di Sighet in “Memoriale delle vittime del Comunismo e della resistenza”.
Sighet è una cittadina a soli due km dal confine ucraino, e che ha dato i natali al Nobel Elie Wiesel.
Secondo il Consiglio d’Europa, questo Memoriale è una delle principali istituzioni dedicate alla conservazione della storia europea del XX secolo, accanto ad Auschwitz e al Memoriale della Pace di Caen, in Francia.
Qui è stata sterminata, a cavallo degli anni ’50, l’élite politica, religiosa, accademica e militare della Romania, insomma” l’intellighenzia” della nazione, coloro ritenuti pericolosi perchè avevano persone al seguito…
Attraverso un percorso viene illustrata la storia romena dopo l’instaurazione del comunismo:
le elezioni forzate dopo la Conferenza di Yalta, la soppressione di tutti gli altri partiti politici, la creazione della Securitate come organo repressivo, la nazionalizzazione dell’industria, la collettivizzazione dell’agricoltura, la repressione dei culti, delle arti e della letteratura, la resistenza, le rivolte contadine, le deportazioni, il culto della personalità e la “creazione dell’uomo nuovo”.
Il comunismo in Romania ha provocato la morte di 2 milioni di persone. In quei tempi era estremamente semplice essere dichiarato “nemico del popolo”.Qualunque attività svolta poteva essere interpretata come “controrivoluzionaria”, come nella Russia di Stalin in cui tutte le azioni venivano punite in base al temutissimo art. 58. Se c’era bisogno di condannare qualcuno, in questo articolo vi era l’imbarazzo della scelta, e Solzhenitsyn(Arcipelago Gulag), Salamov (i racconti della Kolyma) e Kapuscinski (Imperium) hanno scritto abbondantemente di questo sistema. Spesso e volentieri leggi assurde venivano emanate durante la notte e all’indomani all’alba erano già in vigore. Quello che poche ore prima non era reato, poche ore dopo lo diventava.Come nel caso di Iuliu Maniu, capo del Partito Nazional-Contadino, e di Constantin Bratianu, esponente di quello Liberal Nazionale. Entrambi rinchiusi in questo carcere con l’accusa di “alto tradimento” appena dopo la soppressione degli altri partiti.
La visita si svolge su tre piani, considerando anche il parter che serve da discorso introduttivo alla politica dei gulag e dei lavori forzati. Nei due piani di penitenziario, si visitano circa 50 celle. Di cui qualcuna rimasta come allora, come quella in cui morì Bratianu.
Alcune che servivano per le punizioni, come la cella neagra, ovvero buia, con ancora le catene sul pavimento. In altre vengono illustrati quelli che erano i reati per cui si veniva puniti, ed ancora come era la vita nei penitenziari, alle torture e al già rigido clima invernale spesso si aggiungevano finestre volutamente rotte…
E l’atteggiamento non cambiava qualora si trattava di donne, sono qui esposti alle pareti i nomi di 4200 di loro, ma il numero reale è infinitamente più grande. E quando capitava di mettere al mondo figli, questi venivano subito strappati loro e chiusi in orfanotrofi. Mi ha colpito il caso di Ioana Voicu Arnăuțoiu, nata nel 1956 da due partigiani (morti entrambi durante la reclusione) e messa in un istituto. Solo nel 1990 ha potuto conoscere la verità.
Una stanza è dedicata ad uno degli episodi più tristi di tutta la storia romena, la deportazione nel Baragan. Nel Giugno del 1951, circa 44 mila persone che vivevano in prossimità del confine con la Jugoslavia, una mescolanza di etnie romene, bulgare, tedesche, serbe e macedoni furono prese e caricate su treni merci. La loro colpa era di essere potenziali sostenitori del “non allineato ” Tito. Dopo un viaggio durato dieci/quattordici giorni furono “scaricati” nel Baragan, in “the middle of nowhere” privi di ogni bene. Si sono trovati ad essere come gli uomini dell’età della pietra, hanno costruito case di fango e paglia, e si sono arrangiati in ogni modo e sono rimasti per 5 anni in questa landa desolata. Nella stanza sono esposte foto e oggetti di fortuna creati da questa popolazione di deportati…
Quando si esce dal memoriale si va dritti a vedere, “il cimitero dei poveri”, ovvero il luogo in cui sono stati seppelliti i detenuti del carcere, dove un gruppo di statue di bronzo, ricorda i sacrificati.
Nei due km che separano dal cimitero, non si può non riflettere su quello che si è visto, ed è così che sulla strada, mentre dall’altro lato del fiume Tibisco, si intravedono le montagne ucraine il pensiero va inevitabilmente su una sola cosa: il comunismo, a differenza del nazismo, in occidente non è stato condannato abbastanza….