Casa Macovei, collezione d’arte ai tempi del comunismo (by Stefania)

Appena a sud di piazza Unirii, sotto il Patriarcato, per raggiungere il Parco Carol, si percorre la strada chiamata 11 Giugno. Questa data ci riporta al 1848, al giorno in cui il sovrano di Valacchia, sotto la pressione del popolo fu costretto a firmare il proclama di Islaz, ovvero la nuova Costituzione per poi abdicare in nome della democrazia.

Curioso sapere che a distanza di un secolo, in pieno regime comunista, quella strada avrebbe dovuto cambiare nome perchè ogni cosa che richiamava un accenno di idea rivoluzionaria era destinata a soccombere. Ma un qualche genio dell’epoca ha pensato bene di sostituire solo l’anno. E così, in tutto il periodo comunista l’11 giugno da ricordare diventa quello del 1948, ovvero il giorno in cui vennero nazionalizzate tutte le attività commerciali, bancarie, assicurative, ecc. (legge 119 dell’11 giugno 1948), da quel giorno ogni cosa sarebbe appartenuta allo Stato!

Al numero 36 una graziosa villa dei primi del novecento, contrasta con gli anonimi edifici che la circondano. Si tratta della casa memoriale dei coniugi Macovei.

Questi piccoli musei, considerati un po’ di serie B in quanto non attraggono molti turisti, sono a mio parere delle gemme nascoste.  Sia per le collezioni d’arte che spesso si trovano all’interno sia perchè si ha la possibilità di visitare delle vere case rumene del secolo scorso. Spesso appartenute alla borghesia intellettuale o professionale della capitale. Case che hanno vissuto eventi storici importanti, ma che ci raccontano anche il quotidiano, con le loro sale da pranzo, con le loro stufe, gli specchi, i servizi di porcellane e i canapè. Trovo che tutto ciò abbia un fascino irresistibile.

Se a questo si aggiunge il piacere di stare tra le spesse e fresche mura antiche nella calura di questi giorni, la visita diventa ancora più piacevole.

La villa rappresenta una straordinaria miscela di passato e presente, un luogo d’incontro tra la storia dell’arte e la storia del comunismo rumeno. Pompiliu Macovei, fu un grande diplomatico e architetto. Membro del comitato centrale del Partito, ha lavorato come insegnante nel 1944 e nel 1945 prima di essere capo architetto della capitale, presidente dell’Unione degli architetti rumeni, ministro della cultura, viceministro degli affari esteri e ambasciatore della Romania in Italia e dell’UNESCO.

Sua moglie, Ligia era un’artista. Diplomata all’Accademia di Belle Arti di Bucarest oltre che per i suoi quadri, viene ricordata come la più famosa illustratrice dei volumi di Eminescu e Arghezi. Ebbe una condizione piuttosto privilegiata potendo viaggiare molto accanto al marito, cosa permessa solo a pochi eletti in quegli anni bui. Questo fece si che ebbe la possibilità di conoscere molte correnti artistiche contemporanee e di esserne influenzata. Come nel caso dell’espressionismo tedesco, da cui la maggior parte delle sue opere traggono spunto.

Ma quello che più accumunava la coppia era il grande gusto per gli oggetti d’arte, che nell’arco della loro vita hanno acquistato (o ricevuto in dono), e collocato nella loro abitazione.

Quadri di Tonitza, Pallady, Grigorescu. Oggetti di enorme valore come nel caso di un guerriero della dinastia Tang o del piccolo Buddha del XVII sec. Ceramiche di Rouen e di Delft, lampade e lampadari di Murano, cristalli di Boemia. Mobili Biedermeier, una Thonet originale, credenze fiorentine del XV sec, mobili del primo Rinascimento francese, e tanti altri oggetti.

E poi una biblioteca fatta di circa 10 000 volumi di Arte, Architettura, Poesia e Filosofia, in cui i libri, divisi per argomenti sono ancora come loro li avevano disposti.

E’ davvero una collezione interessante, ma quello che è straordinario è che loro abbiano potuto raccogliere questi tesori in un periodo in cui tutte le opere d’arte venivano requisite dallo Stato, durante il comunismo a nessuno era permesso avere oggetti preziosi in casa. E questa fu una tragedia enorme perché molte cose andarono perdute, le abitazioni venivano requisite con tutto quello che c’era dentro, mobili, quadri, ecc. E tutto ciò spesso finiva in mano a persone che ne ignoravano il valore. Che peccato! Ma, come sempre accade, non a tutti viene riservato lo stesso trattamento, questa collezione ne è la prova.

Pompiliu Macovei sopravvisse a tre cambi di regime in tutta la sua lunghissima vita, restando ogni volta un uomo “del suo tempo” . Quello che mi ha colpito è che nonostante la sua importante figura nell’ambito dell’architettura non abbia lasciato nessuna opera significativa in città. Collaborò al progetto del Teatro dell’Opera e alla realizzazione dell’Aeroporto di Baneasa, ma insieme a tanti altri progettisti.

Forse una risposta riesco a darmela, immagino come possa una persona dai gusti così raffinati, aver sofferto nel veder realizzate quelle orrende opere urbane del Realismo Socialista, ma è riuscito a stare a galla e mantenere la sua posizione con tutti i privilegi che comportava.

E così, non avendo eredi, i loro tesori sono a disposizione di chi è capace di apprezzarli.

                        

Se volete farvi guidare alla scoperta di Bucarest , quella meno conosciuta, e della Romania fuori dai soliti percorsi contattate Ursula.

Il Cimitero Bellu, piccola Antologia di Spoon River. (by Stefania)

Parlando di viaggi, in una caffetteria di Piazza Romana, l’amica Federica mi ha illustrato il suo concetto delle 3 C, ovvero che tra le cose più interessanti da visitare ci sono Chiese, Castelli e Cimiteri monumentali. Un pensiero che condivido perfettamente. E la nostra discussione è caduta proprio sui cimiteri, sul romantico fascino che alcuni di essi hanno. Non a caso mi sono innamorata della casa in cui abito perchè ha una splendida vista sull’antico cimitero ebraico, resa ancora più pittoresca dall’alternarsi delle stagioni.

Nel blog ho parlato abbondantemente di Castelli romeni, un po’ meno di chiese, ma quasi mai di questi luoghi silenziosi che raccontano tanta storia e tante storie.

“Hai mai visitato il cimitero Bellu“? Mi ha chiesto l’amica. Mi vergogno. Vivo a Bucarest da 7 anni e non ci sono mai andata.

Dopo 10 minuti eravamo sulla metro, destinazione Eroii Revolutiei, uno spiraglio di sole dopo settimane di gelo ci aveva ispirato questa originale passeggiata nel cimitero Serban Voda (o Bellu), il più famoso della città.

Camminando nei viali si incontrano le tombe di molte celebrità rumene degli ultimi due secoli, scrittori, pittori, politici ed accademici, ma non è di questi che voglio raccontare. Sfortunatamente solo pochi di essi sono conosciuti all’estero, come il poeta Eminescu o Henri Coanda ( l’effetto Coanda, grazie ad esso voliamo e ci arricciamo i capelli col Dyson). Non parlerò neanche di architettura, dei mausolei delle grandi famiglie, altro aspetto molto interessante che rende questo luogo un museo a cielo aperto.

Ma ci sono delle statue davanti alle quali è impossibile non fermarsi. Come una sorta di Antologia di Spoon River sono lì a raccontare di storie e tragedie che con il passare degli anni sono diventate leggendarie, e dove la realtà ha finito per fondersi con la fantasia.

Una fanciulla su una grande roccia e sopra di essa un’aquila con le ali spiegate.

Sophia Mavrodin, una delle prime scalatrici rumene dei primi del novecento, cercando di conquistare una roccia si imbattè in un nido di aquile. Spinta dalla curiosità e credendolo vuoto, volle avvicinarsi. Ma quando il rapace arrivò, Sophia si spaventò a tal punto che cadde nel vuoto. Suo padre, distrutto dal dolore, ordinò che la sommità della roccia fosse trasportata, pietra su pietra, al cimitero di Bucarest. “L’ aquila ha difeso la sua roccia dalla ragazza che non sapeva volare”.

Poco più avanti un’altra scultura ci ha colpite. Più che una scultura, la definirei una sceneggiatura di un film. Una donna sdraiata e accanto a lei un uomo barbuto affranto dal dolore a rappresentare il dramma dei Porroinianu. Constantin Porroinianu, appartenente ad una ricca famiglia di Caracal, durante un viaggio a Parigi, dove precedentemente aveva studiato, conobbe una giovane donna e se ne innamorò. Dalla relazione nacque una figlia, ma Constantin doveva tornare in Romania, dove ad attenderlo c’erano sua moglie e suo figlio Lulea. Molti anni dopo, Lulea seguendo lo stesso percorso del padre andò anch’egli a Parigi per i suoi studi. Ed anche lui si infatuò di una parigina, ma a differenza del padre, la sposò e, innamoratissimi, tornarono in Romania. Qui, in seguito ad una serie di circostanze scoprirono di essere fratello e sorella e non reggendo il colpo si suicidarono. Constantin, sconvolto dal dolore, dopo aver lasciato tutti i suoi averi al Comune di Caracal, si tolse la vita impiccandosi.

E che dire della Dama con l’ombrello? Raffigura proprio come l’omonimo quadro di Monet, una giovane ed elegante donna dei primi del ‘900. Katalina Boschott, era una erudita governante dell’alta società belga, accolta come istitutrice dei figli da un aristocratico rumeno, il dottor Popovici, vedovo.

I due si innamorarono e nel 1906 decisero di concedersi una vacanza a Baile Herculane, nota località termale di quei tempi. Qui una peritonite male operata da un medico portò la giovane donna alla morte. La cosa curiosa è che l’epitaffio, ormai illeggibile, pare dicesse : ”Acest animal de medic m-a ucis”.Pare siano state queste le sue ultime parole. Ad incrementare ulteriormente la leggenda della bella Katalina, è stato lo scultore, il fiorentino Raffaello Romanelli, raccontando che la statua gli era stata commissionata da un ricco signore che voleva restare anonimo. Da qui, la fantasia popolare ha attribuito vari facoltosi amanti alla fanciulla, compreso il re Carol II.

E’ una passeggiata curiosa ed interessante, e senza voler scomodare Foscolo o Goethe, è il caso di dire anche attraverso i cimiteri si impara a conoscere un popolo, la sua storia, la sua cultura e le sue leggende.

                           

Chi fosse interessato a visite guidate di Bucarest o della Romania può contattare Ursula.

Dealu Mare, il Chianti rumeno (by Stefania)

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Chi non ha mai sognato almeno una volta nella vita di dormire su una casetta sull’albero come quelle delle favole?

Vale la pena organizzarsi un bel week end e soddisfare questo desiderio visto che sempre più spesso nei boschi si incontrano queste dimore poco convenzionali che offrono turismo ecosostenibile.

Ecco un suggerimento, accoppiato ad un tour enogastronomico in una zona non lontana da Bucuresti, la contea di Prahova, terra di Bacco per eccellenza.

I grandi vini, bianchi o rossi che siano, nascono tra il 40° ed il 50° parallelo, ma la perfezione è a ridosso del 45°, come racconta il libro di Olivier Bernard, “La magie du 45 parallele”. Si tratta di una zona non troppo calda e non troppo fredda, dove l’uva trova le condizioni climatiche ideali.

carretto vignaEd è proprio in questa magica latitudine che si trovano i vigneti di Dealu Mare (Colline Grandi). Una produzione vinicola che risale ai tempi degli antichi romani, che non a caso chiamavano la terra rumena “Dacia Felix”.

Un giro sulla Drumul Vinului (la strada del vino) nella patria dei vini rossi (appunto quelli di Dealu Mare), per riconciliarsi con il mondo dopo questi lunghi mesi di lockdown, e tornare a vivere, lontani da mascherine e patetiche autodichiarazioni.

Neanche due ore da Bucarest, e nel raggio di pochi km è possibile visitare le più grandi cantine rumene.

Urlati, Davino, Budureasca, Basilescu, Ceptura, Tohani, sono solo alcune delle tante cramele che offrono (previa prenotazione) un tour guidato con degustazione.

Io, non avendo molto tempo, ho optato solo per Lacerta, dall’inconfondibile logo con la lucertola, tra i miei vini preferiti. Ci sono 82 ettari di vigneti, 2000 mq di superficie tra i quali spicca l’antica casa di campagna progettata dall’architetto Ion Mincu nel 1901. In quegli anni, per gli aristocratici rumeni era consuetudine avere delle belle case in campagna, accanto ai loro possedimenti, si chiamano conace (manieri), e su queste colline se ne possono vedere diversi. Alcuni sono ancora in stato di abbandono, altri sono stati ristrutturati e fanno parte della visita che le cantine offrono. Lo stesso Antinori, tra i produttori italiani più famosi , ne ha recuperato uno. Direttamente dal Chianti è venuto ad investire qui in Romania, nella Vitis Metamorfosis.

Vale la pena di visitarne più di una, soprattutto perché le strade sono belle, tranquille, alle colline e vallate si alternano pascoli, paesini e agglomerati di casette molto pittoresche, e si incontrano tanti carretti, simbolo della Romania rurale.

Ma veniamo alla nota più bella del viaggio, la quintessenza di questo tuffo nella natura è stata l’aver deciso di soggiornare in una fattoria, la Ferma Dacilor.

Già dalle foto in rete avevo capito che si trattava di qualcosa di parecchio originale, ma la realtà ha superato la fantasia!

casetta albNel bel mezzo di un anfiteatro di vigneti si accede in questo simpatico complesso fatto solo di legno e pietra. La prima cosa che si vede sono le graziose casette sugli alberi. Costruite tra le acacie, dotate di una comoda scalinata, hanno il pavimento di vetro!

pavim vetroDa lassù ho pensato al Barone rampante, quando diceva che ogni cosa vista da sopra un albero era diversa, e già solo questo per lui era un divertimento.calvino

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Per chi ama di più stare coi piedi per terra, accanto a queste, è possibile soggiornare nelle casette daciche, che richiamano appunto le antiche abitazioni dei daci. Circolari, in pietra, con piccole finestre, quasi dei buchi, e il tetto di cannette. Naturalmente c’è anche possibilità di dormire in una camera, nella struttura principale, come ho fatto io, incantevole anche questa.

Svegliarsi la mattina in campagna, infilarsi un paio di ciabatte e andare a fare colazione all’ombra di un’acacia, sentire solo gli uccellini…cosa desiderare di più?

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Tutti i prodotti sono a km 0, pane, salumi, ortaggi, yoghurt, miele e marmellate, tutto rigorosamente servito nei tipici cocci della tradizione rumena.

Qui ho scoperto una delle cose più buone che abbia mai mangiato, una confettura di more al Cabernet Sauvignon…sul burro è un’estasi!

E che dire degli “effluvi” del purcel la protap (la porchetta !) che comincia a solleticare il palato già dalla tarda mattinata e che accompagnano tutto il week end, insieme alla musica e all’ottimo Feteasca Neagra della casa. Questa è la Romania che preferisco. Quella rurale, delle cose semplici. Quando al buon cibo si accompagna la musica e la gente. Il popolo rumeno quando sta in campagna è un’altra cosa, lontani dallo stress, dal traffico, dal lavoro, davanti ad un bicchiere di vino riesce a dare il meglio di se stesso.

Provare per credere.

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Pasqua.Chiesa vs Stato in tempo di coronavirus. (by Stefania)

Klaus-Iohannis-cu-Patriarhul-DanielCome ho già raccontato in un altro post, la Pasqua in Romania è una festività molto importante, e tra tutte le tradizioni, senza dubbio è la più sentita. Preceduta da ben 7 settimane di quaresima, durante le quali i credenti rinunciano a carne, uova, latticini ed alcool per purificare corpo e spirito.

Questo spiega il lungo braccio di ferro che si è svolto in questi giorni tra il MAI (Ministero affari interni) e il BOR (Biserica Ortodossa Rumena).

– Restate a casa! -continuava a ripetere il Presidente Klaus Johannis – Altrimenti dopo le feste ci saranno i funerali!

Giusta obiezione se si considera che tra i riti ortodossi vi è il fatto di baciare le icone (tutti in fila) e il prendere il vino santo dallo stesso cucchiaino…

daniele– La Santa Eucaristia non è e non potrà mai essere una fonte di malattia – ha ribattuto il Patriarca Daniele, pluridiscusso personaggio a capo della Chiesa Ortodossa rumena – E’ una fonte di nuova vita in Cristo, il perdono dei peccati, la guarigione dell’anima e del corpo –

Visione religiosa contrapposta a quella laica. Neanche a dirlo, Il Patriarca Daniele, ha già dato prova negli anni di non essere uno che molla e la Chiesa Ortodossa rappresenta una vera e propria potenza (soprattutto in termini economici). Non dimentichiamo che accanto all’enorme simbolo del potere temporale che è il Palazzo del Parlamento è stato eretto il simbolo di quello spirituale, la Cattedrale ortodossa più alta del mondo (ben 120 metri).

catttedrMa nonostante la disapprovazione di Johannis, Marcel Vela, ministro degli interni è sceso a  compromessi, essendo lui stesso un uomo di fede e in stretti legami con la chiesa ortodossa firmando un curioso “protocollo” con il barbuto Patriarca. Vediamolo.

prep pane benedettoLa messa sarà celebrata a porte chiuse (naturalmente) e si potrà seguire su Tv e rete. Ma il pane benedetto e la Luce Santa (i lumini), saranno chiusi in sacchetti e distribuiti da sacerdoti volontari (muniti di guanti e mascherine) a tutti coloro che ne faranno richiesta. Sugli usci, dalle finestre o ad un rappresentante nel caso di condomini.

La distribuzione è iniziata già da qualche giorno, proprio come si vede in questo video del telegiornale.

Trovo questo sistema, per quanto curioso, un modo per dare due messaggi. Il primo quello di rimanere a casa, in un periodo dove impazza il “delivery”, la chiesa offre il servizio mettendosi al passo coi tempi. L’altro, è più profondo. Mi metto nei panni di un credente, un credente vero. Oppure in quelli dei malati gravi che si trovano negli ospedali (alcuni anche in isolamento oltretutto, lontano dai loro cari).

Nei momenti tristi e disperati, e questo lo è, quando non si vede una soluzione, quando anche la tecnologia ha fallito, un credente si aggrappa alla fede. E Dio (inteso come potere superiore) non può “restare a casa” anche lui. Deve dare la speranza. Questo è il mio pensiero. L’immagine di un Papa solo nella grande piazza sotto la pioggia non sarà mai dimenticata. Un messaggio di sconfitta e rassegnazione di fronte alla pandemia.activitate-florii-protopopiatul-covurlui

Attenzione, c’è da spostare un palazzo (by Stefania)

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Questo palazzo qui devi metterlo lì, quella chiesa là devi metterla qua…sembrano le note di Francesco Salvi.

E a dirigere il traffico degli edifici era l’ingegnere romeno Eugeniu Iordanescu.

Non è uno scherzo, quello di “muovere” migliaia di tonnellate su rotaie potrebbe sembrare un’impresa fantascientifica, ma in realtà è una cosa possibile, seppur poco frequente.

In Italia, ad esempio, il primo ed unico edificio ad essere stato spostato è stata una torre del ‘500, a Palo del Colle, in Puglia. Oltretutto in tempi piuttosto recenti, dato che la torre è stata traslata per poter allargare la strada statale in occasione di Matera 2019.

Curiosando in rete, ho visto che in Svizzera, una ditta altamente qualificata per questo tipo di opera, ha dislocato (a costi elevatissimi) qualche casa/villa  a Bellinzona e dintorni.

Questa pratica che a noi può sembrare poco comune, in realtà è piuttosto consueta nei paesi dell’Est Europa da tempi assai remoti.

Emmanuel Ghendel, ingegnere sovietico di origini tedesche, solo nel 1936, ha spostato 26 edifici sulla Gorky (oggi Tverskaya, una delle strade principali di Mosca).

E nel 1939, in una sola notte, è riuscito a spostare il grande complesso di Savvinsky, di 23 mila tonnellate, un record!

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Emulo di Hangel, l’ingegnere civile Eugeniu Iordanescu, viene ricordato come “il salvatore di chiese”. In tutta la sua vita ha mosso 23 edifici, di cui appunto 12 chiese, salvandole così dalla furia comunista che aveva sempre un motivo per abbatterle.

Dopo il terremoto del 1977, Ceausescu ha richiesto un’indagine sismica per individuare la zona più sicura per erigere il suo quartier generale (Casa del Popolo), e viene individuato il quartiere di Uranus, Sfanta Vineri, ovvero dove oggi si trova il Palazzo del Parlamento. Ha deciso così di demolire un’intera collina abitata da 40.000 persone, con chiese, ospedali, sinagoghe, ecc. Entra allora in scena Iordanescu, che con la sua proposta convince il dittatore che sarebbe stato più economico spostare le chiese che non distruggerle.

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E così che il 25 Giugno dell’82 la rivista Flacara riporta il seguente titolo :” Un monumento attraversa il viale”. La piccola chiesa ortodossa Schitul Macilor (1725), venne traslata di 245 m. E fu la prima di una lunga serie. Ed è solo grazie a lui che oggi queste si possono ancora visitare. Molte di esse sono dei gioielli su cui c’è parecchio da raccontare. E Ursula, su questo tema, organizza un tour davvero interessante.

chiesa schitulLa tecnica usata era quella di scavare sotto la struttura, creare un grande supporto di cemento armato e questo, una volta sollevato, veniva posizionato su rotaie.

Eugeniu Iordanescu (1929-2019)

Ovviamente, come racconta lo stesso Iordanescu su questo articolo di “The Guardian”, si trattava di una Romania comunista e isolata dal resto del mondo, motivo per cui attrezzatura e tecnologia erano esclusivamente locali. Quindi i binari e materiali erano gli stessi e si spostavano da un sito all’altro per risparmiare sui costi.

E dopo le chiese, ha spostato un ospedale, una banca e palazzi. Un intero condominio è stato spostato con tutti gli inquilini dentro, come dimostra questo simpatico video che vede lo stesso Ceaucescu assistere allo spettacolo.

Ma lo spostamento più spettacolare è stato quello realizzato nella città di Alba Iulia, dove, per realizzare il Boulevard Transilvania, era necessario abbattere un condominio di 80 appartamenti. Come si vede nelle foto che seguono, il palazzo è stato prima diviso e poi spostato da una parte e dall’altra per fare spazio alla strada. Il tempo necessario per far “viaggiare” il blocco è stato di 5 ore e 40 minuti, durante i quali gli abitanti (tranne quelli del pian terreno) hanno assistito dai balconi delle loro case.palazzi alba iulia

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La ciorba, piatto nazionale.

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Vent’anni fa, quando sono venuta a vivere per la prima volta in Romania, avevo chiesto quale fosse il cibo nazionale, cosa corrispondesse alla pasta o alla pizza. A dir la verità lo sguardo del mio interlocutore era rimasto sospeso nel nulla. E il mio pure, di conseguenza. Impossibile che non ci fosse un piatto a cui i Romeni non potessero fare a meno. La risposta, ho scoperto poi, era la ciorba!

Nel mio giardino crescevano varie piante e fiori e anche un sacco di erbacce, non era bello e ricco come oggi. Un giorno una mia vicina è venuta a prepararmi una ciorba, una squisitezza a detta sua, è uscita in giardino, ha raccolto quelle che io consideravo erbacce, e mi ha preparato una minestra. La ciorba di loboda (atrepice degli orti), una verdura che quando cuoce rilascia un liquido rosa, quindi la ciorba è rosa scuro, quasi viola. Solo guardarla mi faceva impressione! Il gusto poi, non sapeva di molto, era acquosa e un po’ acidula per via del borş, mi ha lasciata totalmente indifferente. La ciorba non era per me.

Per molto tempo non l’ho più assaggiata, la consideravo una brodaglia con verdure, la maggior parte a me sconosciute, come la ţelina, la radice di patrunjel e di păstârnac, il leuştean (sedano rapa, prezzemolo e pastinaca, levistico). Niente a che vedere col minestrone.

Ma poi ho cambiato idea, ho imparato a mangiarla, con la panna acida e il peperoncino piccante da mordere, ed è una delizia!

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La mia preferita è la ciorbă de văcuţă, con verdure e pezzetti di carne di manzo, la seconda è la ciorbă de fasole, con fagioli bianchi e costine di maiale affumicate, mentre per Stefania la migliore è quella di perisoare, con polpettine di carne.

Quella che non mangerò mai, dopo averla assaggiata però, è la ciorbă de burtă, con trippa, uova e molto aglio.

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La ciorba si mangia in ogni stagione, d’inverno scalda e d’estate disseta, ma per apprezzarla davvero vanno chiesti sia la panna acida che il peperoncino!!

I giardini segreti di Bucarest.

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Oggi è il 1 ottobre e fuori ci sono 30 gradi, ed è sempre un piacere passeggiare per le vie di Bucarest con le belle giornate. Vado nel mio luogo preferito di quando mi va di stare in solitaria, il mio giardino segreto. Non è niente di che, è un piccolo angolo verde, recintato con si o no 5 panchine, ma è la pace che lo contraddistingue. Due oggetti sono indispensabili per completare il quadretto: il mio kindle e il tremendo caffè preso dalla macchinetta all’interno della….eh no! Se lo dico non sarà più segreto. E’ un caffè tremendo, quello che Ursula definisce “la broda”, ma è il magico potere della location che lo rende bevibile. Come la pizza surgelata sul divano davanti alla tele!
Ma torniamo ai giardini segreti, una delle particolarità che questa città offre. Per fortuna, il fatto che siano “segreti”, ovvero non pubblicizzati dappertutto, li rendono ancora posti speciali, non eccessivamente frequentati, soprattutto dalle mandrie di turisti che sempre di più affollano questa città.
La cosa stupefacente è che sono immensi, in pieno centro, magari alle spalle di cadenti palazzi, o dietro recinzioni che sembrano quelle di un cantiere.
Si entra, si gira l’angolo, lasciandosi alle spalle traffico, clacson, autoambulanze e polizia e come d’incanto…il tempo si ferma! Si entra in giardini, se non addirittura in foreste dove le persone sono immerse nelle attività più disparate.
Arredate con tavoli e sedie, amache, grandi puff, in una magia di colori che ricordano le vacanze. Chi lavora al pc, mamme con bambini, chi, come me, mentre beve limonata (bevanda tipica rumena) ama guardare le persone come fossero quadri animati. Chi organizza feste di compleanno. E’il regno degli hipster e dei creativi!
gradina-edenIl Gradina (giardino)Eden, sulla Calea Victoriei, si trova a ridosso del Palazzo Stirbei, una costruzione neoclassica caratterizzata da 4 cariatidi sulla facciata. Non credo che ci sia l’insegna, si varca il cancello e…ci si ritrova in un’isola esotica! E una vasta gamma di succhi freschi e centrifughe contribuiscono al disintossicarsi dalla vita cittadina.
amacheIl Gradina Dorobanti, sulla Calea Dorobantilor. La prima volta che ci sono entrata, per sbaglio, mi è sembrato di sognare. C’era una porta di lamiera! Un paradiso che quando è chiuso è nascosto da un cancello di lamiera che mai lascerebbe immaginare cosa si trova all’interno.
bottiglieAnche qui (non a caso è lo stesso proprietario), una foresta con al centro un bancone bar con sopra tante bottiglie che pendono dal soffitto con delle corde. Di nuovo amache e relax totale.
fruttaDue luoghi spettacolari.
E continuando a parlare di luoghi poco conosciuti, non posso non menzionare quello che è il “luogo segreto”per eccellenza. Qui è stata fatta la scelta di non pubblicizzarlo da nessuna parte. Solo passa parola, e nonostante ciò è impensabile di andare senza prenotazione, si rischia il viaggio a vuoto.

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E’ il caso della Ceainaria Infinitea, una sala da tè meravigliosa. si trova nel quartiere Cotroceni, quindi anche fuori mano. Ma è la riprova che se una cosa merita, le distanze non solo non spaventano ma servono a “scremare” la clientela. Il cream tè, il vero tè all’inglese (con pasticcini dolci e salati) serviti nel più classico dei modi in una cornice da favola.

 

saletteUna casa antica, ma anche qui, dall’esterno nulla lascia presagire cosa si trova all’interno. Si fanno le scale e ci si ritrova in salette arredate con mobili antichi (interbellico), libri e porcellane d’epoca. Stanze calde, accoglienti, e poi l’esterno! Tavoli e sedie in ferro battuto turchese in un giardino su due livelli.
Ma è inutile che continuo, le immagini e il video, parlano da soli.

Chi fosse interessato a visite guidate di Bucarest o della Romania può contattare Ursula.

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Dracula…storie di sangue

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Romania uguale Dracula. Una leggenda che continua a portare in questo paese migliaia di turisti,  e che ogni giorno vanno ad intasare le strette scale del Castello di Bran. Ma qual’è la relazione tra Vlad l’impalatore e il conte vampiro di Bram Stoker?

Il merito di aver scoperto l’identità che si celava dietro il protagonista del romanzo è di due studiosi di storia del Boston College, Raymond T. McNally e Radu Florescu, autori di Storia e Mistero del Conte Dracula, un interessante libro che ho appena finito di leggere.

McNally, americano,  è stato professore di storia russa e dell’Europa dell’ Est con la passione della letteratura horror e Radu Florescu, rumeno, direttore dell’East European Research Center e già consigliere di Ted Kennedy sulle questioni dell’Europa orientale.

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Radu Florescu , 1925-2014

Durante un soggiorno a Bucarest, negli anni ’70, sorseggiando una palinka, convinti che dietro il protagonista di Stoker e i numerosi riferimenti alla Transilvania ci fosse ben oltre la pura immaginazione, i due decidono di imbarcarsi in questa ricerca. Iniziarono così viaggi ed approfondimenti in archivi e biblioteche dell’Europa dell’Est. E  solo dopo aver ritrovato i diari e i taccuini di Stoker, giunsero alla conclusione che lo scrittore si ispirò a Vlad Tepes e alle tradizioni vampiresche transilvane. Ma chi era realmente il sanguinario principe che tanto ha affascinato lo scrittore irlandese? Un machiavellico sovrano, crociato e stratega militare o una persona crudele che si beava nel vedere il sangue dei suoi convitati?

Vlad III di Valacchia fu il secondogenito di Vlad II ( fatto membro dell’ordine del Drago dall’Imperatore del Sacro Romano Impero Sigismondo). Da qui figlio di”Dracul”, che significa drago ma anche diavolo. Il giovane Vlad e suo fratello Radu Cel Frumos (ovvero Radu Il Bello,e pare che lo fosse davvero), poco più che bambini,vengono lasciati in ostaggio dal padre in dimostrazione della sua lealtà ai Turchi,e trascorrono molti anni nella fortezza di Egrigoz, in Asia Minore. Questo soggiorno forzato, senza dubbio contribuì alla sua formazione, dotandolo sicuramente di una buona dose di “cinismo bizantino”.

Inoltre il contesto storico, trattandosi del “buio”Medioevo,  ha avuto la sua importanza vedendo il dilagare di sistemi punitivi assurdi. La stessa Chiesa, con la Santa Inquisizione non concesse sconti riguardo a torture…

Quindi, tutto sommato, un “impalatore seriale”, forse all’epoca poteva pure passare inosservato.  Ma, questa la grandiosità della ricerca dei due americani, la leggenda di Vlad Tepes, parte dalla pubblicità negativa della sua epoca.

impalati

Molti monaci cattolici tedeschi, fuggirono dalla Transilvania a causa del brutale tentativo di Dracula di eliminare le istituzioni cattoliche e confiscare loro le ricchezze. Quale miglior vendetta che raccontare, ingigantire e divulgare e quindi diffamarlo? I Pamphlet sassoni diventano i bestsellers dell’epoca. E la concomitante invenzione della stampa ne aumenta la produzione, diventando così tra le prime pubblicazioni a carattere non religioso. Un’opera che rappresenta il più completo resoconto coevo di Dracula è La storia di un pazzo sanguinario di nome Dracula di Valacchia(1463), di Michel Beheim, conservato all’Università Di Hidelberg. Ma molti altri pamphlet, anonimi, sono stati ritrovati a Norimberga, Lubecca, Augusta, Amburgo, ecc. Spesso sono corredati di incisioni in cui viene raffigurato il principe che banchetta tra gli impalati.

In tutti gli episodi narrati Vlad, uccide, taglia, impala, smembra, e cuoce le sue vittime.

La cosa curiosa è che accanto a questi racconti tedeschi, parallelamente, in  Russia vi è una grande produzione di manoscritti che narrano (più o meno) gli stessi aneddoti di Dracula, ma con punti di vista differenti.

Il più antico di essi si trova nella Biblioteca Nazionale di San Pietroburgo, si tratta de La storia di Dracula (collezione Kirillov-Belozersky). Redatto nel 1490 dal monaco Efrosin, questi scrive di averlo copiato dal racconto di Fedor Kurytsin, un diplomatico russo che si trovava presso la corte ungherese qualche anno prima. Qui,a differenza della versione tedesca, Dracula viene descritto come autocrate “crudele ma giusto”, con azioni feroci, ma necessarie per il bene dello stato. Doveva adottare misure forti non solo contro gli invasori turchi, ma pure verso gli aristocratici boiari.

Ai libelli truculenti si sono aggiunte le tradizioni contadine transilvane, dove il vampirismo è ricorrente. Vlad Tepes, il cui nome poteva finire nell’oblio come tanti altri signori della guerra di quel periodo, e’  stato quindi riportato alla luce da Bram Stoker  alla fine del XIX secolo.

Ma esiste una stirpe? Pare proprio di si. Radu Florescu ha dedicato gli ultimi anni della sua vita alla ricostruzione del suo albero genealogico, pubblicando Dracula’s Bloodline e dimostrandone la discendenza.

Il sangue dei Drăculești continua a scorrere nelle vene dell’amico  Radu Florescu jr. che,  a differenza dell’ antenato,  i suoi convitati li tratta molto bene, nella sua bella casa con vista Arco Di Trionfo.

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Radu Florescu jr

Chi fosse interessato a visite guidate di Bucarest o della Romania può contattare Ursula.

La Scuola Italiana di Bucarest

Tina Savoi, direttrice della Aldo Moro, può cantar vittoria: la scuola italiana di Bucarest ha finalmente l’aspetto di una vera scuola. Dopo 28 anni passati all’interno di una bellissima villa d’epoca, con grandi sale e soffitti decorati, ma non proprio adatta a una struttura scolastica, l’anno  2018-19 è incominciato nella nuova sede di strada Sf. Stefan.

La scuola, chiamata Aldo Moro nel 1978 in onore dello statista, è paritaria (riconosciuta dallo Stato italiano) e comprende elementari, medie, oltre a una scuola dell’infanzia. Dal prossimo anno si inaugura anche un Liceo Linguistico, con già 15 iscritti. L’edificio ha 3 piani, una palestra, una sala mensa, una biblioteca e un grande cortile

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La Aldo Moro è frequentata al 20% da Italiani,18% da Romeni,  60 % Italo-Romeni, e 20% altre nazionalità.

Ci sono quattro ore settimanali di Inglese (che viene insegnato sin dalla scuola dell’infanzia), e il Romeno viene insegnato dalla seconda elementare.

I 110 alunni dell’anno in corso possono accedere anche ad attività pomeridiane come: chitarra, piano, arti marziali, yoga, fisica applicata, logica matematica, inglese intensivo e altre lingue a richiesta. Mentre per i genitori vengono organizzati incontri tematici, come: il bullismo, il valore dei no. Una volta al mese è aperto un cineforum, anche per i genitori, mentre per le mamme ci sono corsi di ginnastica e di lingua romena.

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La storia della comunità italiana di Bucarest ha più di cent’anni.

Alla fine dell’Ottocento contava circa 800 persone di varia estrazione sociale: operai, piccoli negozianti, qualche industriale, maestri di musica, architetti, ingegneri e imprenditori. Nel 1901 viene fondata la scuola Regina Margherita (elementare, pubblica, mista, diurna con 230 alunni e 11 insegnanti), col contributo del più eminente personaggio italiano dell’epoca, Luigi Cazavillan. La scuola si mantiene grazie alle sue donazioni, al contributo degli allievi, a sottoscrizioni pubbliche e a un piccolo sussidio del Governo Italiano.

Così Cazavillan promuoveva  la sua apertura, sul quotidiano Universul:“La Scuola Italiana per ragazzi e ragazze inizia i corsi il 1 Settembre. I corsi obbligatori sono: lingua italiana e romena, secondo i programmi ministeriali; lingua tedesca, francese, e pianoforte sono facoltativi. La scuola materna accoglie bambini dai 4 ai 7 anni. La tassa scolastica è molto bassa. In ottobre la scuola si sposterà nel nuovo edificio, costruito conformamente alle esigenze igieniche e pedagogiche, aule per i corsi, palestra….”

Luigi Cazavillan era un garibaldino, arrivato in Romania nel 1877. Giovanissimo combatte contro gli Austriaci in Trentino, lui è di un paese vicino a Vicenza. Si sposta in Francia e poi nei Balcani dove lotta a fianco ai Serbi contro i Turchi. L’anno seguente chiede di schierarsi a fianco dei Romeni nella guerra russo-turca ma la sua domanda non viene accolta perché le leggi romene non consentono l’arruolamento di stranieri nell’esercito, partecipa comunque alla battaglia della Plevna come corrispondente di diversi giornali italiani; finita la guerra si stabilisce in Romania.

Nel 1884 fonda il quotidiano Universul. Il giornale diventa il più letto del Paese, con 80.000 copie vendute ogni giorno e un prezzo contenuto, grazie alla vendita di spazi pubblicitari; il primo in Romania. Piace anche la sua imparzialità politica.

Nel 1901 partecipa alla fondazione della prima scuola italiana.

Col tempo le sedi cambiano,  ma la scuola italiana non chiude mai, neanche negli anni del comunismo. La nostra cultura continua a essere insegnata alla  Aldo Moro, punto di riferimento per la comunità italiana di oggi.

Gradina Vlahiia, un angolo di Maramures in Valacchia

titolo 0.jpgNon amo usare il blog per pubblicizzare le attività commerciali. Amo invece trasmettere le sensazioni di fronte alle cose che mi piacciono o non mi piacciono. Ma ci sono dei luoghi e delle vicende che meritano di essere conosciuti. In più, ho sempre avuto un debole le storie di successo. Beh! Mi pare che gli elementi ci siano tutti per parlare di Gradina Vlahiia, un incantevole complesso turistico a soli 20 km da Bucarest (e non lontano dalle terme), in cui grazie all’inventiva di Cristian Dumitrescu, è possibile “assaporare” quella che secondo me è la regione più bella della Romania, il Maramures.

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Ho incontrato Cristian tra i tavoli del ristorante, una domenica a pranzo, e con un italiano perfetto mi ha raccontato tutto.

cristian-dumitrescu-gradina-vlahiia-laszlo-raduly-newmoney-840x600Cristian nasce a Fagaras. Negli anni ’70 sceglie la libertà, e chiede di avere il passaporto per poter lasciare la Romania e raggiungere suo fratello in Italia. Questa richiesta non gli permette di terminare gli studi, viene espulso dalla facoltà per “parassitismo”. Ma, come tutte le persone lungimiranti, ne vede il lato positivo, ovvero la possibilità di avere più porte aperte davanti a sè. Dall’Italia, con in tasca solo 60 dollari, raggiunge il Canada. Qui, non conoscendo la lingua, inizia lavando piatti o lavorando nei bar. Dopo aver imparato l’inglese trova impiego come tecnico designer di giorno e alla sera continua a lavorare nei bar.

Negli anni 80′ viene assunto dall’IBM. In quegli anni nessuno in Romania aveva mai visto un computer. Diventa programmatore e dopo poco fonda la sua prima compagnia.

Dopo aver sentito alla CNN della rivoluzione, capisce che è arrivato il momento di tornare a casa. Trova un paese affamato di sviluppo e tutto da progettare e ricostruire. Fonda la A & C International e diventa Il distributore rumeno di AUTOCAD, Bingo! Viaggiava su cifre da capogiro, ma nel 1993 inizia a pensare di utilizzare i guadagni venuti dall’IT per realizzare il suo sogno bucolico: ricreare il paesaggio della sua infanzia.

casettaPer farlo inizia ad acquistare terreni e chiedere permessi (l’attività più rognosa in Romania). Vende le sue proprietà. Vende una Maserati per acquistare un trattore, uno scavatore, ecc.

Compra, smonta e rimonta 4 case di legno del Maramures. Una di esse ha 200 anni. Colleziona oggetti della tradizione contadina rumena e ne fa un museo. Costruisce una chiesa di legno, dove all’interno ci sono splendide icone originali. Inizialmente voleva fare tutto questo solo per se e per i suoi amici. Conservare le cose belle della sua famiglia e della sua terra. Oltre tre milioni di euro, senza mai chiedere prestiti.

La tenuta è cresciuta negli anni, ha aggiunto cavalli, pony e maiali Mangalita. Ha realizzato un laghetto ed ha aperto le porte al pubblico.Ha piantato 400 alberi da frutto, ha costruito due serre. Tutto rigorosamente bio per i suoi clienti.

Il risultato di tutto questo è un luogo fantastico dove trascorrere ore o giorni immersi nella natura.

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Dormire nelle case di legno del Maramures è un’esperienza assolutamente da fare. Arredate con cura rispettando la tradizione, facendo attenzione anche il più piccolo dettaglio. Da qui è possibile fare escursioni in carretto, slitta o barca nel vicinissimo lago di Snagov (e vedere la tomba di Dracula).

E il cibo? Cristian ama l’Italia e nella sua “casa dei giochi” si vede la sua passione per la buona cucina italiana, e nel menù, accanto ai piatti tipici della tradizione rumena spiccano pizze, lasagne, e altre delizie di “noiantri”!

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