Cosa si mangia in Romania?

mancare-romaneascaLa domanda giusta è: “Quanto si mangia in Romania”?

Tanto, si mangia tanto! E’ difficile uscire indenni da un pasto completo. A volte credo sia in atto una specie di legge del contrappasso, dopo tanti decenni di fame.

I generi di prima necessità c’erano,ma non tutti i giorni e quando arrivavano prevedevano ore ed ore di coda con tessera, per avere il quantitativo stabilito dal sistema.

La cucina rumena risente molto del clima freddo, motivo per cui è abbastanza calorica, ma quando la temperatura scende sotto lo zero, cosa che accade spesso nei lunghi inverni, un cibo così diventa molto confortevole.

Tra gli antipasti primeggiano la zacusca (una specie di ratatouille fatta in casa),

 

la salata de vinete (purè di melanzane), e la salata de boeuf (insalata russa).

 

 

La prima portata solitamente è la ciorba (minestra), che può essere con verdure, polpette, pollo, fagioli, ma la più tipica è di burta, di trippa. Tutte sono rigorosamente accompagnate da smantana (panna acida) e peperoncino piccante, da mangiare a morsi, non opzionabile a -10/-15gradi, è l’organismo che lo richiede!

ciorba

mici

 

Il piatto principale è costituito da carne, di tutti i tipi, e in alcuni ristoranti si può trovare anche quella di orso.  Molto particolari sono i Mititei o mici (piccoli), lunghe polpette a cilindro, parecchio aromatizzate e cotte sulla griglia, di cui i rumeni sono ghiotti e si trovano in tutti i ristoranti e fiere. Con questi sono fondamentali la senape e i muraturi (sottaceti)

ciolan

 

A questi si aggiungono il Ciolan (stinco di maiale), i ficatei (fegatini di pollo) e la tochitura (spezzatino),

piatti che si accompagnano con la mamaliga (polenta) o patate, al forno o in tegame.

 

Il piatto nazionale che non manca mai in un pranzo che si rispetti è composto dalle Sarmale (carne e riso avvolti in foglie di verza conservata sotto sale).

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Non c’è un grande assortimento di formaggi. Questi si dividono in due specie, telemea e cascaval. Il primo, molto simile alla feta, è sia fresco che maturo e può essere di pecora, di mucca e talvolta di capra, si trova anche alle erbe,ecc.

Il secondo, a pasta dura, simile al nostro Galbanino, è di tre tipi,Dalia, Rucar, Sofia. Si trova anche affumicato, e assomiglia alla nostra scamorza.

Romanian Cheeses (left to right: Cas, telemea, Urda)    cascaval

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Tipico delle zone montane è il Burduf, molto saporito, si mangia con la polenta e viene venduto avvolto in una corteccia di abete.

 

 

A conclusione del pasto non può mancare un bel Papanasi, una specie di krapfen fritto , nel cui impasto si mette anche il formaggio. Si serve con una invitante copertura di smantana e confettura di amarene.

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Pofta Buna!

Chi fosse interessato a visite guidate di Bucarest o della Romania può contattare Ursula

 

 

 

 

 

 

 

 

Fernando De Cruciatti – Nemo propheta in patria

7. Manuela e Fernando Poco prima di trasferirmi in Romania, la mia amica Manuela mi raccontò del suo bisnonno Fernando (Dino) De Cruciatti, il quale dopo aver abbandonato la carriera di attore si era recato a Bucarest.

Di lui in seguito si è saputo poco e nulla, tranne che era rimasto in questa terra straniera per circa 10 anni e che si era dato alla regia teatrale. Quindi mi aveva invitato a cercare qualche notizia a riguardo.
All’inizio, non avendo affatto familiarità con la lingua, ero riuscita a trovare solo qualche briciola e dopo poco ho abbandonato completamente la ricerca.

Ma, i casi della vita, mentre ero in coda al consolato per il rinnovo del passaporto, mi capita tra le mani una rivista in cui Jean Cazaban, un noto critico e storico del teatro rumeno, cita il regista De Cruciatti come rappresentante del teatro dell’avanguardia che ha portato in scena in questo paese pezzi del repertorio italiano come Goldoni e Pirandello, lavorando con i più grandi attori dell’epoca.

Contatto subito il direttore dell’Istituto Italiano di Cultura, Ezio, che da quando sono arrivata qui è diventato una specie di “numero verde”al quale mi rivolgo per ogni sorta di informazione e in breve trova la strada per mettermi in contatto con Cazaban ed aprire le porte per la ricerca.

1. Fernando DicrucciatiFiorentino, classe 1889, attore ( in film accanto ad  Anna Magnani), autore, scenografo e regista teatrale, ebbe in Italia una carriera brillante ma non facile, nell’ambito di un regime fascista che non condivideva.

Inviato dal Ministero della Cultura Popolare nel 1938, doveva restare per una sola stagione, ma è poi rimasto per più di 10 anni, anni che hanno visto la Seconda Guerra Mondiale e l’inizio della dittatura comunista. Ha imparato la lingua rumena.

 

Ha lavorato nei teatri nazionali più grandi della Romania, Bucarest, Cluj Napoca e Iasi, riscuotendo successo non solo tra il pubblico, ma anche nella critica. Fece conoscere opere come La figlia di Iorio,nel 1939, la tragedia pastorale di D’Annunzio.

A seguire La Locandiera, Il Bugiardo e I Rusteghi di Goldoni.”Il regista è riuscito ad imporre alla sua compagnia uno stile pieno di rigore”dice Ioan Massof nell’ottavo volume del “Teatro Rumeno”.

asta seraEd ancora Questa sera si recita a soggetto di Pirandello, Mirra, tragedia in 5 atti di Vittorio Alfieri (in cui egli stesso ha realizzato i disegni delle scene) e La Guardia alla luna di Massimo Bontempelli.

Potrei continuare con il lungo elenco delle opere di cui ha il merito di aver fatto conoscere ed apprezzare  ad un pubblico straniero, ma preferisco finire con le sue parole dette molti anni fa all’età di 86 anni al papà di Manuela:” Per me vivere è gioia. A me non importa nè di mangiare nè di far niente. Potrei vivere di lumache e lombrichi, la gioia di vivere è quella che mi tiene in vita. Cerco di fare il possibile per non essere cattivo, di non fare del male. Se ci riesco, non lo so. In ogni modo faccio ogni sera un esame di coscienza, per quello che ho fatto bene e per quello che ho fatto male.E guarda che non sono praticante, ma credo profondamente in Dio. Nel mistero di Dio…Capito amico mio?”cruc anz (2)

 

 

L’ex prigione politica di Jilava

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A pochi chilometri fuori Bucarest si trova uno dei luoghi più temuti durante il periodo comunista: il carcere di Jilava.

Alla fine degli anni ’40, inizio anni ’50, bastava poco per finire nelle umide celle del vecchio forte, restarci per mesi, ammalarsi, morire o venire trasferiti in altri luoghi di detenzione tremendi.
Era come Auschwitz, con l’unica differenza che non uccidevano col gas
Dopo la vittoria del Partito Comunista nel 1946, tutti gli altri partiti vennero messi fuori legge inclusi i loro sostenitori, iniziarono le epurazioni e per costoro, per quelli legati al regime precedente, per militari e intellettuali si aprirono le porte di Jilava.

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Jilava era un vecchio forte costriuto nel 1894 e facente parte di una linea di difesa (18 forti, 18 batterie) che circondava Bucarest con un anello lungo 70 chilometri. Per essere meno visibili al nemico i forti erano stati interrati, tanto che il Forte n.13 di Jilava risulta 6m sotto il livello del mare. L’etimologia del nome la dice lunga žilav/jilav vuol dire umido, le celle della prigione erano sature di umidità. Ancora oggi, quando sale la falda acquifera, colma  per le piogge o lo scioglimento della neve,  Jilava si ritrova sott’acqua.

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Il  forte venne disarmato assieme agli altri alla fine della Prima guerra mondiale, ma era già “tornato utile” nel 1907, dopo la rivolta dei contadini, i primi ad essere rinchiusi in questo luogo.Diventato carcere politico (anche sotto il regime fascista del Gen. Antonescu) venne usato senza interruzione fino agli anni ’70, quando Ceausescu dichiarò al Mondo che non c’erano più prigionieri politici in Romania. Fu riaperto un’ ultima volta durante i giorni della Rivoluzione dell’89, il 21 e il 22 dicembre, quando molti manifestanti furono condotti qui dalla famigerata Securitate.

La Securitate era stata creata nel 1948 per “ proteggere le conquiste democratiche e garantire la sicurezza della Repubblica Popolare Romena contro nemici interni ed esterni”, da quel momento nessuno era stato più al sicuro

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Lo Stato doveva cancellare ogni opposizione e creare il nuovo cittadino fedele al partito. All’inizio dopo gli oppositori politici vennero arrestati industriali, possidenti, aristocratici, imprenditori, commercianti, accusati di sabotaggio se rifiutavano di cedere le proprie attività dopo la nazionalizzazione delle imprese private. Stessa cosa accadde ai contadini dopo la nazionalizzazione delle terre, tra il 1949 e il 1952; in più di 800.000 furono arrestati e 30.000 ritenuti colpevoli finirono nelle prigioni politiche sparse per il Paese. Neanche la Chiesa ortodossa era immune dal sospetto, migliaia di preti furono arrestati, assieme a studenti e professori. Tutte le istituzioni vennero ristrutturate: giuridica, servizi segreti, educazione, religione; chi non seguiva o non era d’accordo col nuovo sistema rischiava l’arresto.

E tutti passavano da Jilava. Lì potevano rimanere a scontare la pena oppure, a seconda della condanna, essere trasferiti in carceri di massima sicurezza, ai lavori forzati nelle miniere o alla costruzione del canale del Danubio.

Per indebolire lo spirito dei “nemici” del regime i “colpevoli” venivano sottoposti a ogni tipo di vessazione: bastonati, minacciati, torturati, chiusi in celle sovraffollate (meno di 1mq a persona), con le finestre chiuse da assi di legno, con un secchio come gabinetto che veniva svuotato solo una volta al giorno e che dovevano usare in pubblico. Per dormire chi era fortunato aveva un letto (a castello) senza materasso o coperte, gli altri si sdraiavano sul pavimento e, dato l’affollamento, quando volevano cambiare posizione dovevano girarsi tutti assieme. Molti si ammalavano e li trovavano morti la mattina. Per bere e lavarsi avevano una tazza d’acqua al giorno, senza sapone e asciugamano, e venivano nutriti con minestre.

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A Jilava ci sono anche le celle di isolamento (izolare) e le due spaventose “celle nere”. Due antri, caverne vere e proprie, con il pavimento in terra battuta. Qui stavano al buio completo, non sapevano neanche chi fossero i loro compagni, tutti vicini perché non sapevano come fosse e quanto grande fosse il posto dove erano rinchiusi, spesso ammanettati dietro la schiena, coi vestiti che si sfaldavano addosso.

Dal 1945 al 1989 più di 2.000.000 di persone furono perseguitate politicamente, 600.000 furono arestate e condannate, 200.000 vennero deportate. Gli anni del terrore furono dal 1948 al ’53, e dal 1958 al ’60; gli anni in cui era al potere tovarasul Gheorghe Gheorghiu Dej. Nessuno direttore di carcere e nessun torturatore è mai stato condannato.

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Oggi il vecchio forte, ex prigione politica, si trova all’interno della struttura carceraria di Jilava. Nell’edificio costruito negli anni ’70 ci sono detenuti comuni, alcuni in regime di semi libertà. Purtroppo per questo motivo non è un luogo visitabile dal pubblico. Facendo la guida ho un canale preferenziale ed è da anni che riesco a portare piccoli gruppi a visitare Jilava. Dovrebbero farne un museo!

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