L’ex prigione politica di Jilava

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A pochi chilometri fuori Bucarest si trova uno dei luoghi più temuti durante il periodo comunista: il carcere di Jilava.

Alla fine degli anni ’40, inizio anni ’50, bastava poco per finire nelle umide celle del vecchio forte, restarci per mesi, ammalarsi, morire o venire trasferiti in altri luoghi di detenzione tremendi.
Era come Auschwitz, con l’unica differenza che non uccidevano col gas
Dopo la vittoria del Partito Comunista nel 1946, tutti gli altri partiti vennero messi fuori legge inclusi i loro sostenitori, iniziarono le epurazioni e per costoro, per quelli legati al regime precedente, per militari e intellettuali si aprirono le porte di Jilava.

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Jilava era un vecchio forte costriuto nel 1894 e facente parte di una linea di difesa (18 forti, 18 batterie) che circondava Bucarest con un anello lungo 70 chilometri. Per essere meno visibili al nemico i forti erano stati interrati, tanto che il Forte n.13 di Jilava risulta 6m sotto il livello del mare. L’etimologia del nome la dice lunga žilav/jilav vuol dire umido, le celle della prigione erano sature di umidità. Ancora oggi, quando sale la falda acquifera, colma  per le piogge o lo scioglimento della neve,  Jilava si ritrova sott’acqua.

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Il  forte venne disarmato assieme agli altri alla fine della Prima guerra mondiale, ma era già “tornato utile” nel 1907, dopo la rivolta dei contadini, i primi ad essere rinchiusi in questo luogo.Diventato carcere politico (anche sotto il regime fascista del Gen. Antonescu) venne usato senza interruzione fino agli anni ’70, quando Ceausescu dichiarò al Mondo che non c’erano più prigionieri politici in Romania. Fu riaperto un’ ultima volta durante i giorni della Rivoluzione dell’89, il 21 e il 22 dicembre, quando molti manifestanti furono condotti qui dalla famigerata Securitate.

La Securitate era stata creata nel 1948 per “ proteggere le conquiste democratiche e garantire la sicurezza della Repubblica Popolare Romena contro nemici interni ed esterni”, da quel momento nessuno era stato più al sicuro

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Lo Stato doveva cancellare ogni opposizione e creare il nuovo cittadino fedele al partito. All’inizio dopo gli oppositori politici vennero arrestati industriali, possidenti, aristocratici, imprenditori, commercianti, accusati di sabotaggio se rifiutavano di cedere le proprie attività dopo la nazionalizzazione delle imprese private. Stessa cosa accadde ai contadini dopo la nazionalizzazione delle terre, tra il 1949 e il 1952; in più di 800.000 furono arrestati e 30.000 ritenuti colpevoli finirono nelle prigioni politiche sparse per il Paese. Neanche la Chiesa ortodossa era immune dal sospetto, migliaia di preti furono arrestati, assieme a studenti e professori. Tutte le istituzioni vennero ristrutturate: giuridica, servizi segreti, educazione, religione; chi non seguiva o non era d’accordo col nuovo sistema rischiava l’arresto.

E tutti passavano da Jilava. Lì potevano rimanere a scontare la pena oppure, a seconda della condanna, essere trasferiti in carceri di massima sicurezza, ai lavori forzati nelle miniere o alla costruzione del canale del Danubio.

Per indebolire lo spirito dei “nemici” del regime i “colpevoli” venivano sottoposti a ogni tipo di vessazione: bastonati, minacciati, torturati, chiusi in celle sovraffollate (meno di 1mq a persona), con le finestre chiuse da assi di legno, con un secchio come gabinetto che veniva svuotato solo una volta al giorno e che dovevano usare in pubblico. Per dormire chi era fortunato aveva un letto (a castello) senza materasso o coperte, gli altri si sdraiavano sul pavimento e, dato l’affollamento, quando volevano cambiare posizione dovevano girarsi tutti assieme. Molti si ammalavano e li trovavano morti la mattina. Per bere e lavarsi avevano una tazza d’acqua al giorno, senza sapone e asciugamano, e venivano nutriti con minestre.

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A Jilava ci sono anche le celle di isolamento (izolare) e le due spaventose “celle nere”. Due antri, caverne vere e proprie, con il pavimento in terra battuta. Qui stavano al buio completo, non sapevano neanche chi fossero i loro compagni, tutti vicini perché non sapevano come fosse e quanto grande fosse il posto dove erano rinchiusi, spesso ammanettati dietro la schiena, coi vestiti che si sfaldavano addosso.

Dal 1945 al 1989 più di 2.000.000 di persone furono perseguitate politicamente, 600.000 furono arestate e condannate, 200.000 vennero deportate. Gli anni del terrore furono dal 1948 al ’53, e dal 1958 al ’60; gli anni in cui era al potere tovarasul Gheorghe Gheorghiu Dej. Nessuno direttore di carcere e nessun torturatore è mai stato condannato.

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Oggi il vecchio forte, ex prigione politica, si trova all’interno della struttura carceraria di Jilava. Nell’edificio costruito negli anni ’70 ci sono detenuti comuni, alcuni in regime di semi libertà. Purtroppo per questo motivo non è un luogo visitabile dal pubblico. Facendo la guida ho un canale preferenziale ed è da anni che riesco a portare piccoli gruppi a visitare Jilava. Dovrebbero farne un museo!

Chi fosse interessato a visite guidate di Bucarest o della Romania può contattare Ursula

Sighetu Marmatiei e le vittime del comunismo.

memorial“Se la giustizia non riesce ad essere una forma di ricordo, sarà il ricordo ad essere una forma di giustizia”. Sono queste le parole di Ana Blandiana, poetessa romena (tradotta in 23 lingue) e grande sostenitrice dei diritti civili, che insieme al marito Romulus Rusan, si è impegnata a trasformare il penitenziario politico di Sighet in “Memoriale delle vittime del Comunismo e della resistenza”.
Sighet è una cittadina a soli due km dal confine ucraino, e che ha dato i natali al Nobel Elie Wiesel.
Secondo il Consiglio d’Europa, questo Memoriale è una delle principali istituzioni dedicate alla conservazione della storia europea del XX secolo, accanto ad Auschwitz e al Memoriale della Pace di Caen, in Francia.
Qui è stata sterminata, a cavallo degli anni ’50, l’élite politica, religiosa, accademica e militare della Romania, insomma” l’intellighenzia” della nazione, coloro ritenuti pericolosi perchè avevano persone al seguito…
Attraverso un percorso viene illustrata la storia romena dopo l’instaurazione del comunismo:
le elezioni forzate dopo la Conferenza di Yalta, la soppressione di tutti gli altri partiti politici, la creazione della Securitate come organo repressivo, la nazionalizzazione dell’industria, la collettivizzazione dell’agricoltura, la repressione dei culti, delle arti e della letteratura, la resistenza, le rivolte contadine, le deportazioni, il culto della personalità e la “creazione dell’uomo nuovo”.

Il comunismo in Romania ha provocato la morte di 2 milioni di persone. In quei tempi era estremamente semplice essere dichiarato “nemico del popolo”.Qualunque attività svolta poteva essere interpretata come “controrivoluzionaria”, come nella Russia di Stalin in cui tutte le azioni venivano punite in base al temutissimo art. 58. Se c’era bisogno di condannare qualcuno, in questo articolo vi era l’imbarazzo della scelta, e Solzhenitsyn(Arcipelago Gulag), Salamov (i racconti della Kolyma) e Kapuscinski (Imperium) hanno scritto abbondantemente di questo sistema. Spesso e volentieri leggi assurde venivano emanate durante la notte e all’indomani all’alba erano già in vigore. Quello che poche ore prima non era reato, poche ore dopo lo diventava.Come nel caso di Iuliu Maniu, capo del Partito Nazional-Contadino, e di Constantin Bratianu, esponente di quello Liberal Nazionale. Entrambi rinchiusi in questo carcere con l’accusa di “alto tradimento” appena dopo la soppressione degli altri partiti.

La visita si svolge su tre piani, considerando anche il parter che serve da discorso introduttivo alla politica dei gulag e dei lavori forzati. Nei due piani di penitenziario, si visitano circa 50 celle. Di cui qualcuna rimasta come allora, come quella in cui morì Bratianu.

Alcune che servivano per le punizioni, come la cella neagra, ovvero buia, con ancora le catene sul pavimento. In altre vengono illustrati quelli che erano i reati per cui si veniva puniti, ed ancora come era la vita nei penitenziari, alle torture e al già rigido clima invernale spesso si aggiungevano  finestre volutamente rotte…
E l’atteggiamento non cambiava qualora si trattava di donne, sono qui esposti alle pareti i nomi di 4200 di loro, ma il numero reale è infinitamente più grande. E quando capitava di mettere al mondo figli, questi venivano subito strappati loro e chiusi in orfanotrofi. Mi ha colpito il caso di Ioana Voicu Arnăuțoiu, nata nel 1956 da due partigiani (morti entrambi durante la reclusione) e messa in un istituto. Solo nel 1990 ha potuto conoscere la verità.

Una stanza è dedicata ad uno degli episodi più tristi di tutta la storia romena, la deportazione nel Baragan. Nel Giugno del 1951, circa 44 mila persone che vivevano in prossimità del confine con la Jugoslavia, una mescolanza di etnie romene, bulgare, tedesche, serbe e macedoni furono prese e caricate su treni merci. La loro colpa era di essere potenziali sostenitori del “non allineato ” Tito. Dopo un viaggio durato dieci/quattordici giorni furono “scaricati” nel Baragan, in “the middle of nowhere” privi di ogni bene. Si sono trovati ad essere come gli uomini dell’età  della pietra, hanno costruito case di fango e paglia, e si sono arrangiati in ogni modo e sono rimasti per 5 anni in questa landa desolata. Nella stanza sono esposte foto e oggetti di fortuna creati da questa popolazione di deportati…
Quando si esce dal memoriale si va dritti a vedere, “il cimitero dei poveri”, ovvero il luogo in cui sono stati seppelliti i detenuti del carcere, dove un gruppo di statue di bronzo, ricorda i sacrificati.

Nei due km che separano dal cimitero, non si può non riflettere su quello che si è visto, ed è così che sulla strada, mentre dall’altro lato del fiume Tibisco, si intravedono le montagne ucraine il pensiero va inevitabilmente su una sola cosa: il comunismo, a differenza del nazismo, in occidente non è stato condannato abbastanza….