Maramures

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Adoro i posti difficili da raggiungere e il Maramures e’ uno di questi. Dalla parte opposta di Bucarest sulla cartina geografica, e’ la regione che più  ha conservato le sue tradizioni, in particolare il costume tipico, che le donne indossano ancora tutti i giorni.

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prova costume!

Il paesaggio e’ “antico”: covoni nei campi, dove gli uomini usano ancora la falce, carri trainati da cavalli, case di legno coi tetti spioventi, chiese del XVII secolo dai campanili affusolati, oche e galline che scorrazzano per le strade, molte rimaste in terra battuta.

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In Maramures bisogna prendersi tempo, godersi la giornata fermandosi a parlare con la gente, sedersi a guardare la vita del villaggio quando, verso sera, i contadini tornano dai campi col forcone sulla spalla,  passeggiare da un villaggio all’altro su sentieri immersi nella campagna, bere acqua minerale (fredda e gasata!) dalle sorgenti e mettere i piedi a bagno nel ruscello.

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La vita tra le alte colline coperte da boschi e’ dura, la maggior parte delle famiglie e’ autosufficiente, coltivano orti e campi, si occupano  dei frutteti, tagliano la legna per l’inverno, e allevano gli animali di cui hanno bisogno: pollame, maiali, mucche e pecore. Non c’e un giorno di vacanza, soprattutto d’estate quando oltre al lavoro quotidiano bisogna preparare le provviste per l’inverno. Marmellate, sciroppi, ortaggi in salamoia, nulla va sprecato, perchè alla peggio si da’ ai maiali. Nel vero senso della parola!

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Molti abitanti del Maramures sono emigrati, sono dei bravi lavoratori e i risultati della loro fortuna si vedono nelle case nuove che sorgono, un po’ stonate, accanto alle bellissime case tradizionali. Non c’è un gran futuro per i giovani, a cui sta stretta la vita di paese, non si può dargli torto. Ma per chi cerca una dimensione più umana dell’esistenza, non c’è posto migliore!

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fatto assieme alla padrona di casa

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La particolarità del Maramures è che si soggiorna nelle case della gente del luogo. Ospitali e aperti i “moroşeni” offrono il meglio delle loro tradizioni. Non vi allarmate se a colazione vi portano polenta e funghi o sniţel e formaggio, accompagnati da marmellata, cetrioli e pomodori, lardo e latte appena munto. Se poi volete esagerare potete chiamare un complesso di musicisti che in abiti folkloristici accompagna la cena, innaffiata di ţuica e vişinata.

Chi fosse interessato a un viaggio in Maramures può contattarmi Ursula.

Il Castello dei Corvino di Hunedoara

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Il cimitero felice di Săpânţa

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Săpânţa, un paese di appena 3000 anime, nel Maramures, a pochi km dal confine ucraino, ospita una delle maggiori, e curiose, attrattive turistiche, il Cimitero Felice, una necropoli unica al mondo!

Considerato che la religione in questione è  quella ortodossa, e che questo termine implica un certo rigore, tanto da rientrare nel nostro linguaggio comune per esprimere una certa adesione alle regole, di primo acchito suona un po’ strano.

In realtà, la tradizione riporta agli antichi Daci che credevano nell’immortalità dell’anima, e consideravano  la morte un modo per ricongiungersi a Zalmosside, il loro Dio.

E’ costume in Romania, vegliare il defunto per tre giorni e tre notti, perchè vi è la convinzione che se lasciato solo possa finire in un oltretomba triste. E per tutta la durata della veglia si mangia, si beve, si gioca a carte, si raccontano aneddoti divertenti.

Dopo questo periodo, la bara, aperta (e spesso caricata su carretti, macchine con il portellone aperto, che si sostituiscono in alcuni casi ai carri funebri) viene portata in chiesa per la benedizione del pope.

Questo per dire che la vita viene celebrata più della morte, e il cimitero di Săpânţa, con il suo originale modo di esorcizzare la morte, è diventata patrimonio mondiale dell’Unesco.

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Tutte le tombe sono caratterizzate da una croce di legno, colorata di azzurro (da cui è nato l’azzurro di Săpânţa), sulle quali vengono riportati epitaffi  che, con una spiccata ironia, raccontano la vita del defunto. Tutti sono in rima e alcuni sono davvero divertenti, come quello della suocera che recita:

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“Sotto questa pesante croce riposa la mia povera suocera.

Se avesse vissuto altri tre giorni

c’ero io sotto e lei sopra a leggere.

Non svegliatela altrimenti mi sgrida di nuovo.

Resta qui mia cara suocera”

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“Per quanta vita nel mondo passata

me la sono sempre cavata

in Italia sono andato a lavorare

per poter i miei figli laureare.

Quando tutto si è aggiustato

una malattia via mi ha portato

facendoti arrabbiare, moglie mia Irina,

ti lascio ai figli vicina”

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“Io qui riposo

mi chiamo Toador Băsu

per tutta la vita che ho passato

capre, pecore, vitelli e agnelli ho macellato

in carne e salsicce li ho trasformati

e dalle signore sono stati acquistati.

Ho lasciato la vita all’età di 61 anni

E altri, come una sorta di Antologia di Spoon River, raccontano la vita che avrebbero voluto avere..

A iniziare questa tradizione fu  un contadino del villaggio, Stan Ion Patrăş, scultore, pittore e poeta locale che negli anni 30 iniziò a scolpire e adornare queste croci. L’artista  realizzò centinaia di simili lapidi fino al 1977, anno in cui morì. Da allora il suo lavoro viene continuato dal suo apprendista, Dumitru Pop Tincu.

Quest’ultimo si trova spesso a dover fronteggiare eccessi di richieste, molte sono le prenotazioni di chi ha il desiderio di trascorrere il post mortem in questo luogo. E non solo gli abitanti del paese, ma anche turisti americani, tedeschi, ed… italiani!

Chi fosse interessato a visite guidate di Bucarest o della Romania può contattare Ursula

L’ex prigione politica di Jilava

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A pochi chilometri fuori Bucarest si trova uno dei luoghi più temuti durante il periodo comunista: il carcere di Jilava.

Alla fine degli anni ’40, inizio anni ’50, bastava poco per finire nelle umide celle del vecchio forte, restarci per mesi, ammalarsi, morire o venire trasferiti in altri luoghi di detenzione tremendi.
Era come Auschwitz, con l’unica differenza che non uccidevano col gas
Dopo la vittoria del Partito Comunista nel 1946, tutti gli altri partiti vennero messi fuori legge inclusi i loro sostenitori, iniziarono le epurazioni e per costoro, per quelli legati al regime precedente, per militari e intellettuali si aprirono le porte di Jilava.

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Jilava era un vecchio forte costriuto nel 1894 e facente parte di una linea di difesa (18 forti, 18 batterie) che circondava Bucarest con un anello lungo 70 chilometri. Per essere meno visibili al nemico i forti erano stati interrati, tanto che il Forte n.13 di Jilava risulta 6m sotto il livello del mare. L’etimologia del nome la dice lunga žilav/jilav vuol dire umido, le celle della prigione erano sature di umidità. Ancora oggi, quando sale la falda acquifera, colma  per le piogge o lo scioglimento della neve,  Jilava si ritrova sott’acqua.

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Il  forte venne disarmato assieme agli altri alla fine della Prima guerra mondiale, ma era già “tornato utile” nel 1907, dopo la rivolta dei contadini, i primi ad essere rinchiusi in questo luogo.Diventato carcere politico (anche sotto il regime fascista del Gen. Antonescu) venne usato senza interruzione fino agli anni ’70, quando Ceausescu dichiarò al Mondo che non c’erano più prigionieri politici in Romania. Fu riaperto un’ ultima volta durante i giorni della Rivoluzione dell’89, il 21 e il 22 dicembre, quando molti manifestanti furono condotti qui dalla famigerata Securitate.

La Securitate era stata creata nel 1948 per “ proteggere le conquiste democratiche e garantire la sicurezza della Repubblica Popolare Romena contro nemici interni ed esterni”, da quel momento nessuno era stato più al sicuro

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Lo Stato doveva cancellare ogni opposizione e creare il nuovo cittadino fedele al partito. All’inizio dopo gli oppositori politici vennero arrestati industriali, possidenti, aristocratici, imprenditori, commercianti, accusati di sabotaggio se rifiutavano di cedere le proprie attività dopo la nazionalizzazione delle imprese private. Stessa cosa accadde ai contadini dopo la nazionalizzazione delle terre, tra il 1949 e il 1952; in più di 800.000 furono arrestati e 30.000 ritenuti colpevoli finirono nelle prigioni politiche sparse per il Paese. Neanche la Chiesa ortodossa era immune dal sospetto, migliaia di preti furono arrestati, assieme a studenti e professori. Tutte le istituzioni vennero ristrutturate: giuridica, servizi segreti, educazione, religione; chi non seguiva o non era d’accordo col nuovo sistema rischiava l’arresto.

E tutti passavano da Jilava. Lì potevano rimanere a scontare la pena oppure, a seconda della condanna, essere trasferiti in carceri di massima sicurezza, ai lavori forzati nelle miniere o alla costruzione del canale del Danubio.

Per indebolire lo spirito dei “nemici” del regime i “colpevoli” venivano sottoposti a ogni tipo di vessazione: bastonati, minacciati, torturati, chiusi in celle sovraffollate (meno di 1mq a persona), con le finestre chiuse da assi di legno, con un secchio come gabinetto che veniva svuotato solo una volta al giorno e che dovevano usare in pubblico. Per dormire chi era fortunato aveva un letto (a castello) senza materasso o coperte, gli altri si sdraiavano sul pavimento e, dato l’affollamento, quando volevano cambiare posizione dovevano girarsi tutti assieme. Molti si ammalavano e li trovavano morti la mattina. Per bere e lavarsi avevano una tazza d’acqua al giorno, senza sapone e asciugamano, e venivano nutriti con minestre.

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A Jilava ci sono anche le celle di isolamento (izolare) e le due spaventose “celle nere”. Due antri, caverne vere e proprie, con il pavimento in terra battuta. Qui stavano al buio completo, non sapevano neanche chi fossero i loro compagni, tutti vicini perché non sapevano come fosse e quanto grande fosse il posto dove erano rinchiusi, spesso ammanettati dietro la schiena, coi vestiti che si sfaldavano addosso.

Dal 1945 al 1989 più di 2.000.000 di persone furono perseguitate politicamente, 600.000 furono arestate e condannate, 200.000 vennero deportate. Gli anni del terrore furono dal 1948 al ’53, e dal 1958 al ’60; gli anni in cui era al potere tovarasul Gheorghe Gheorghiu Dej. Nessuno direttore di carcere e nessun torturatore è mai stato condannato.

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Oggi il vecchio forte, ex prigione politica, si trova all’interno della struttura carceraria di Jilava. Nell’edificio costruito negli anni ’70 ci sono detenuti comuni, alcuni in regime di semi libertà. Purtroppo per questo motivo non è un luogo visitabile dal pubblico. Facendo la guida ho un canale preferenziale ed è da anni che riesco a portare piccoli gruppi a visitare Jilava. Dovrebbero farne un museo!

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Sibiu, dove i tetti strizzano l’occhio alla Merkel

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Sibiu ( Hermannstadt), nell’omonimo distretto, conosciuto come la porta sud della Transilvania, merita una visita, e non solo per apprezzarla turisticamente, ma per il suo aspetto socio-culturale.

Fondata nel 1190, dai coloni della Renania,su un probabile castro romano, fin dall’antichità si è sempre affermata come importante centro commerciale, economico e culturale. Tradizioni perpetuate anche  in seguito e che hanno fatto si che  fosse designata Capitale Europea della Cultura nel 2007.

johannis Klaus Johannis, rumeno di origini tedesche,per ben 14 anni ne è stato il sindaco,lasciando una significativa impronta, dal 2000 al 2014. Poi ha abbandonato l’incarico per ricoprirne uno ben più importante, ora è Presidente della Romania. Ma come lui stesso ama ironicamente ricordare, in realtà non ha vinto le elezioni, è stato il suo avversario (Victor Ponta) che ha perso!

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Ho volutamente  sottolineato questo aspetto, perchè  Sibiu, più delle altre  cittadine  di origini sassoni, sono sette in tutto, è la più teutonica di tutte, lo si percepisce subito, e non è solo una questione di urbanistica e stile architettonico. Le scritte”deutsches”sono dappertutto, è a tutti gli effetti la seconda lingua. Vi sono ben due librerie tedesche..

Un aeroporto internazionale collega la città quasi esclusivamente con la Germania e con la sua sorella minore, l’Austria, motivo per cui vi è una forte presenza di tedeschi, sia per turismo, sia per affari. Lo stesso Johannis sta prendendo accordi per incrementare l’industria, soprattutto quella automobilistica, e a questo scopo sta promuovendo indirizzi scolastici compatibili con le nuove esigenze. Venire a produrre in Romania offre vantaggi ad entrambi.

Di conseguenza, Sibiu rappresenta un modello, che sia positivo o no, dipende dai punti di vista, certo è che è diversa dalle altre città rumene.

I locali sono più sobri, la musica ha un volume contenuto, si vedono meno tacchi e non ha una gran vita notturna. Sappiamo tutti che i tedeschi non amano fare tardi e che, all’alba, sono pronti (qui senza alpenstock, non siamo in montagna) ad esclamare “guten morgen!” davanti ad un piatto di cremwurstel servito a colazione…

Divisa tra città bassa e città alta, collegate dal ponte “delle bugie”, nome dato perchè pare che proprio in questo luogo i cadetti erano soliti fare promesse alle fanciulle…

 

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Nella parte alta, il centro si sviluppa intorno  a due piazze, una piccola (Mica) e l’altra grande (Mare). Quest’ultima circondata da splendidi palazzi come il Brukenthal, sede di uno dei musei più antichi dell’Europa centrale, aperto al pubblico dal 1817. Quì si trova la grande raccolta di opere del barone Samuel Von Brukenthal, che al servizio di Maria Teresa d’Austria, ha trascorso una vita a collezionare capolavori, tra cui pittori fiamminghi, Tiziano, Van Eyck, i Bruegel, ecc.

Accanto, la Primaria, uno splendido edificio in art nouveau, ex banca, e dal 2006 sede del Municipio.A seguire la Torre del Consiglio, una delle torri di difese facente parte di una delle cinte murarie di fortificazione.

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Attraverso questa, mediante una galleria (di cui Sibiu è piena) si accede alla Piazza Mica. Quì è possibile visitare il primo laboratorio omeopatico del mondo, creato proprio da Samuel Hahnemann, che in questo luogo ha vissuto due anni, al seguito di Brukenthal.

Sotto uno dei palazzi di questa piazzetta è bene fare una piccola pausa caffè nella libreria Habitus, un gioiellino.

A due passi da qui la grande cattedrale Evangelica, del XIV secolo, con la sua imponente torre di 73 metri.

Ma la cosa più suggestiva di Sibiu sono i tetti, hanno una particolarità unica, osservano! E’ un sistema di lucernai destinati all’aerazione delle case, ma la forma è proprio quella di un occhio, e la sensazione è proprio quella di..essere osservati.

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Nei secoli questi occhi ne hanno viste di tutti i colori, soprattutto quelli dei palazzi in piazza Mare, dai roghi delle streghe alle esecuzioni con la ghigliottina. Per fortuna ora gli spettacoli a cui assistono sono qualitativamente e culturalmente superiori. Proprio in questo slargo vengono proposte le manifestazioni più belle, come il Festival Internazionale del Teatro, a Giugno, che propone artisti di gran fama. Quest’anno anche l’Italia è stata rappresentata con la Carmen tutta napoletana di Mario Martone ed impersonata da Iaia Forte.

Altra importante manifestazione che si tiene qui è il Festival Jazz, che ha una storia curiosa. E’ nato nei primi anni 70 (come quello di Montreux, incredibile!), in pieno regime comunista. Questa cosa mi è sembrata subito strana, ma poi ho letto che in realtà il jazz era una delle passioni di Nicu Ceausescu (forse la più sana), e fino all’89 ne è stato il più grande finanziatore ed organizzatore.

Cosa comprare in Romania

Spesso mi diverto, controllando le statistiche di questo blog, a vedere quali sono le parole chiave che una volta  inserite in Google  portano  a visitare queste pagine. Ce ne sono di divertentissime, come “vecchia stufa rumena in ceramica”, oppure “abito da sposa rumeno”, ma le più frequenti in assoluto sono “Dracula”(non avevo dubbi) e “cosa comprare in Romania”.

Ecco, è bene spendere due parole per quello che riguarda lo shopping in Romania.

Tralascio i negozi di souvenir, dove la “paccottiglia” a tema Dracula, a mio avviso, serve solo a ad intasare le scrivanie…

Vediamo quali sono le cose veramente tipiche.

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Prima tra tutte la ie, ovvero la tradizionale camicetta rumena. Indumento preferito della Regina Maria, che era solita portarla nelle occasioni ufficiali. E’ stata resa famosa da Henry Matisse, nel suo dipinto del 1940, che a sua volta ha ispirato Yves Saint Laurent, Jean Paul Gaultier e Tom Ford che ne hanno dato una propria versione.

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Ha una storia antichissima, può essere di lino o cotone, ed è ricamata a mano. I disegni rappresentano dei simboli magici che, cuciti con precisione ad ogni punzonatura avevano lo scopo di proteggere chi indossava la camicia dagli spiriti cattivi, dagli incantesimi, e dalla malasorte. E’davvero carina.

La si può trovare, oltre che nei negozi di souvenir (a prezzi maggiorati), nei mercatini, come ad esempio quello sul retro del Muzeul Taranului, che c’è ogni fine settimana.

Altra cosa da comprare è la marmellata di prugne (magiun de prune), la Topoloveni, una vera roba da intenditori.  Al 100% naturale, senza zuccheri aggiunti e senza additivivi.E’ l’unico prodotto romeno in possesso della certificazione europea “Indicazione Geografica Protetta”, preparata secondo una ricetta  vecchia di 100 anni, tramandata di generazione in generazione. Ha ottenuto molti riconoscimenti  all’estero, grazie alle sue qualità,  ed è stata inoltre inserita nella lista di alimenti che possono essere richiesti da qualsiasi truppa Nato del mondo.

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La Fabbrica di Topoloveni propone una vasta gamma di varietà di confetture, dolcificate con succo di mele biologiche, tra cui quelle di rapa tedesca, fragole, amarene, mirtilli, ribes, noci verdi o fiori di acacia.Si trova nei supermercati, nei negozi biologici, o nel punto vendita di Bulevardul Carol 1.

Altra cosa tipica è la ceramica di Horezu, e la cosa migliore sarebbe proprio andare ad Horezu, a meno di 200 km da Bucarest. E’interessante vedere i vasai che impastano l’argilla, modellano e dipingono le loro creazioni dalle tonalità brillanti del rosso, verde, marrone e blu.

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La si trova nei mercati, primo fra tutti Bucur Obor (il più grande di Bucarest) oppure al Muzeul Satului.

SAM_2514 Tuica de MarmuresE poi la Tuica (pronuncia Zuica), il tradizionale distillato di prugne, molto popolare in Romania, considerato che il 70% del raccolto viene impiegato per la sua produzione. Si usa per iniziare i pasti, oppure la si può gustare calda con zucchero e pepe in grani per combattere il freddo. Ma attenzione, può veramente stendere al tappeto, dato l’elevato tasso alcoolico.

La si trova nei supermercati oppure, nei mercatini (targuri), a volte anche fatta in casa.

vinuriE dolcis in fundo…i vini!  I vini rumeni sono davvero eccellenti, forse non troppo pratici da mettere in valigia, ma per fortuna, una vasta scelta la si trova anche in aeroporto, ovviamente a prezzi un po’più alti (ma non troppo). E’bene portare a casa una bottiglia di Feteasca Neagra o Chardonnay de La Cetate, un Merlot de Lacerta, o qualsiasi vino di Dealu Mare (Collina Grande),e perchè no, un Purcari della vicina Moldavia! Quest’ultimo è il preferito della Regina Elisabetta, che ogni anno ordina 1000 bottiglie di Negru de Purcari, il più pregiato.

Chi fosse interessato a visite guidate di Bucarest o della Romania può contattare Ursula

 

curtea de arges e dintorni

Senza saperlo Stefania ed io siamo state lo stesso giorno a Curtea de Arges. Curioso. Purtoppo non ci siamo incontrate, io venivo da nord-est, lei da sud.

Dopo aver passato il fine settimana a casa di un’amica Tedesca a Pestera, uno di miei posti preferiti, con un panorama che ogni volta mi sento in obbligo di fotografare, siamo partite in tre alla volta di Horezu.

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Lungo la strada abbiamo deciso di fermarci a Campolung, dove si trova l’epigrafe più antica della Romania (1300) sul sarcofago di Lorenzo da Lungo Campo, un cavaliere forse di origini italiane, e a Curtea de Arges.

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Lì abbiamo visitato le stesse due chiese di Stefania, ma la più bella è, indubbiamente, la Biserica Domneasca con i possenti pilastri su cui poggia la cupola, i colori degli affreschi, l’atmosfera.  Lo stile bizantino si vede sia nella pianta che all’esterno, decorato semplicemente con pietre e mattoni che formano delle geometrie. La chiesa è poco visitata, che è sicuramente un pregio, se si considera la bolgia che affolla invece il monastero.

Da Curtea de Arges abbiamo proseguito per Horezu dove siamo rimaste due giorni a esplorare la zona.

Se non fosse stato per l’aiuto di un amico del posto, non sarei mai riuscita a raggiungere quello che ho visto. Tutte e tre: Petra, Ruxandra (romena, storica dell’arte e direttrice di musei) e io conosciamo la Romania e parliamo Romeno, ma anche così non è facile entrare nella vita della gente.

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Siamo state a parlare con Aurica, 100 anni,  che durante la seconda Guerra Mondiale venne fatto prigioniero dai Russi e portato in Siberia. Abbiamo visto una chiesetta del 1487. La sua iconstasi apparteneva all’eremo di Sfantu Ioan, che venne distrutto dalla piena del fiume e l’iconostasi salvata dalle acque venne posta nella chiesa del villaggio. Siamo entrate in una delle poche case di campagna, ancora “in piedi”, che risale al 1800. Siamo passate per un paese di Rudarii, gli zingari che lavorano il legno. Abbiamo visto come una semplice famiglia romena, padre vedovo e 5 figli, con il lavoro manuale di tutti e un po’ di soldi fatti lavorando all’estero (non in Italia!) hanno costruito un “resort” per la pesca alla trota. E abbiamo finito a casa di Stefan in un trionfo di marmellate, sciroppi, formaggio fresco, cetriolini sott’aceto, frutta sciroppata e liquore di ciliegie, tutto fatto in casa. Abbiamo discusso di arte, storia, politica, religione, di corruzione e di quanto si potrebbe fare per salvare il patrimonio del Paese, se solo il denaro andasse nella direzione giusta. Mi sono fatta dare da Narcisa, la moglie di Stefan, varie ricette e abbiamo imparato che in campagna la gente si cura ancora con le piante, fa bene ed è anche gratis! L’aspirina? Perché comprarla? Basta la corteccia del Salice. Dalla Betulla, invece, si ricava un liquido denso come il miele, che cola, dopo aver inciso la corteccia, non ricordo a cosa serva, ma solo l’idea che si possa succhiare con una cannuccia la linfa di un albero mi fa impazzire!

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Dulcis in fundo, lungo la strada abbiamo incontrato due famiglie nomadi con carri e cavalli, sempre più raro di questi tempi.

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il popolo degli zingari

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Alcune persone li amano, sono affascinati dall’aura di mistero e magia che li circonda; altre li disprezzano, ma questo non sembra turbare i Rrom che da secoli vivono una vita tutta loro.

Căldărari, Ursari, Lăutari, Florari,  sono alcuni dei nomi con cui vengono chiamati gli zingari in Romania. Nomi di vecchi mestieri, alcuni dei quali ancora esistenti, che permettono una vita rispettabile nel XXI secolo, svolgendo professioni che hanno sapore di Medioevo.

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I Căldărari lavorano i metalli (rame, ottone, alluminio) fanno le coperture dei tetti e le pentole. I Florari si occupano della vendita dei fiori, hanno praticamente il monopolio. Gli Ursari, erano domatori  di orsi, li facevano danzare a suon di musica alle fiere di paese. Oggi non ci sono più, ma essendo stati anche dei musicisti sono sopravvissuti nei Lăutari. Non c’è festa, matrimonio, compleanno, battesimo, soprattutto nelle campagne,  senza un gruppo di Lăutari che suoni le Manele, musica popolare con influenze orientali. Il gruppo più famoso anche all’estero, grazie a Johnny Depp, è quello dei Taraf de Haïdouks; in Romania invece, vanno forte Adrian Minune e Florin Salam.

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Tutti sono zingari, o rrom, che nella loro lingua vuole dire “uomo”.

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Appartenevano a un popolo nomade arrivato in Europa al seguito dei Mongoli. La maggior parte degli storici li fa risalire a una tribù del Nord dell’India, la loro lingua (il Romani, e 17 dialetti) ha parole simili al Bengali e al Sanscrito. In Romania sono arrivati agli inizi del 1200,  alcuni di loro hanno mantenuto la vita nomade (Caldarari, Ursari, Gheambaşi…) e pagavano un tributo ai Boiardi (nobili), altri sono diventati sedentari e schiavi. Facevano parte delle proprietà delle famiglie nobili, la loro situazione non era diversa da quella degli schiavi neri in America. Svolgevano tutte le mansioni di casa, badavano agli animali e ai campi, venivano comprati, venduti, puniti e uccisi.

La schiavitù venne abolita nell’Ottocento, ma la libertà non li ha portati lontano. La vita che conducevano ai margini della società li ha relegati a cittadini di seconda categoria. Durante il Comunismo si è cercato di integrarli nella popolazione, avevano casa e lavoro, ma la caduta del regime, il disfacimento dell’apparato statale, la chiusura delle fabbriche e la privatizzazione, li ha riportati al gradino più basso della società.

Non tutti se la cavano male, ma per loro non è facile trovare lavoro. Alcuni sono ricchissimi, vivono in palazzi faraonici e si coprono d’oro; altri vivono in baracche senza luce né acqua corrente.

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Poco amati anche in patria, dove i più si arrabattano per un’ esistenza in povertà, continuano a fare molti figli che spesso, per le precarie condizioni in cui vive la famiglia, vengono affidati agli orfanotrofi. I ragazzi si sposano giovani, di solito sotto i vent’anni. Molti non vanno a scuola e si precludono un possibile futuro migliore. Se trovano lavoro è qualcosa che nessun altro vuol fare: spazzini, uomini di fatica….con paghe molto basse.

Ma c’è anche chi se la cava bene, quelli  che lavorano il legno, i metalli, i muratori, i musicisti o che svolgono altri lavori artigianali. La Romania è legata alle tradizioni, e per questi mestieri c’è ancora spazio. Così come c’è ancora spazio per la vita nomade. Carro e cavalli, il carro diviso in due: nella parte superiore su un materasso viaggia e dorme l’intera famiglia; sotto: utensili, legna da ardere, pentole e catini, qualche volta le galline. Per le vallate della Transilvania, soprattutto d’estate, si vedono passare piccole carovane con uomini, donne, bambini, che sembrano arrivare dalle steppe dell’Asia.

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A settembre si tiene un festival zingaro.

Lipscani

652x450_020919-lipscani23Bucarest cosmopolita, Bucarest superficiale, Bucarest corrotta, veloce, audace, demolita, ricostruita, cadente, polverosa, moderna, e ancora tanti altri aggettivi, tutti veritieri. Spesso chi ci abita si trova a discutere dei molti aspetti di questa città. Si discute sullo stile di vita, sul sistema fiscale (di gran lunga più vantaggioso di quello italiano), sul colore dell’acqua che esce dai rubinetti, sulle possibilità che offre o non offre, e i punti di vista possono essere molto differenti. Ma su una cosa ci si trova tutti d’accordo, quando alla sera si decide di andare a Lipscani, un luogo che placa ogni controversia.Si tratta del centro storico della città, dove intorno alle mura dell’antica corte principesca fatta erigere da Vlad Tepes, si sviluppa un’isola pedonale che non conosce tregua.

Il nome Lipscani viene dato nel 1750, perchè molti dei mercanti venivano da Lipsia a vendere tessuti ed altri prodotti, creando un fulcro commerciale ed artigianale. Ancora oggi le strade portano il nome dei negozi che le caratterizzavano : Blanari (dei pellicciai), Selari (dei sellai), Gabroveni (dei fabbricanti di coltelli), Sepcari (cappellai), Zarafi (dei cambiavalute), Postei (delle Poste).

2012-04-10-hanul-lui-manucQuattro locande (Hanul), ancora esistenti, ospitavano i viandanti, ma di queste solo una ha conservato l’aspetto originario di caravanserraglio, si tratta di Hanul Manuc , con una grande corte che serviva ad ospitare i cavalli con le stanze numerate “a ringhiera”. All’interno si trovano ora un ristorante libanese e Starbucks.

Negli anni del comunismo Lipscani ha subito un forte degrado, nei piani urbanistici del Conducator c’era la demolizione del quartiere in favore delle solite grosse colate di cemento, ma fortunatamente non ne ha avuto il tempo. Pur continuando ad esserci esercizi e magazzini (vuoti), il genere che più andava era la categoria Consignatia, una specie di Banco dei Pegni. Questo tipo di bottega costituiva l’unica possibilità di comprare (previa coda di ore) merce proveniente dall’occidente come jeans, scarpe e cosmetici. Era consuetudine, ricevere, per chi aveva parenti all’estero, i celeberrimi pachete di roba occidentale. Quello che non interessava al destinatario veniva appunto offerto al mercato con questo sistema.Oggi, in questa area, all’alternarsi dei soliti brand di cui l’Europa è piena, continuano ad esserci piccoli negozi antiquari,di souvenir, di abiti da sposa, calzature,ecc. Ma lo shopping non è il motivo per passeggiare a Lipscani.

Qui si viene a respirare il buonumore! Le strade che  si intersecano sono  piene di gente e di locali, e ce n’è per tutti i gusti.

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Dal Caru cu Bere (il ristorante più antico , si deve provare lo stinco), alla pizza più buona di Bucarest, Il Peccato. Dal turco Divan (che offre danza del ventre mentre si cena), al greco Meze per ascoltare il bouzouki.

E ancora pub irlandesi, ristoranti tipici rumeni, sushi,  la Cremeria Emilia (un ottimo gelato al pistacchio), per terminare con i Covrigi (Bretzel) e Gogoasi (pizza fritta), il tipico cibo “da strada”.

lip by nightE la notte? Appena passata la mezzanotte inizia la Lipscani by night. I locali si trasformano in discoteche, e la gente si moltiplica. Vi è l’imbarazzo della scelta, e se si considera che non esiste il biglietto di ingresso, si pagano solo i cocktail (media 5 euro), si fa allora il classico tour che termina alle luci dell’alba.

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Si scende nei  seminterrati come il Beluga, si sale con l’ascensore come al Nomad Sky Bar, o si attraversa  il Pasajul  Macca-Villacrosse (galleria tra due palazzi con tetto in vetro, per avventori di narghilè).

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Insomma, è uno scenario che lascia piacevolmente frastornati e che nessuno si aspetta di trovare a Bucarest, nella “triste Romania”, una Romania che in questo momento storico di crisi per il resto d’Europa, sta andando controcorrente e sta crescendo…

E’questo il motivo per cui dico che fare un giro qui serve al buonumore, è bello vedere  nuove  attività commerciali  che aprono, quando torno in Italia vedo locali che chiudono….

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Chi fosse interessato a visite guidate di Bucarest o della Romania può contattare Ursula

Le tenute rurali del Principe Carlo

www.ruraltourism.ro è un sito che propone di fare una vacanza diversa in Romania, ovvero nelle case rurali.
Che si decida di andare a visitare i castelli della Transilvania, i monasteri del Maramures o della Bucovina, piuttosto che il grandioso ecosistema del Delta del Danubio, poco importa. Entrare in contatto con la natura ha sempre un suo perchè, e queste accoglienti dimore sparse per tutto il territorio offrono una buona occasione per farlo. Solitamente sono non troppo distanti dai centri urbani, ma nello stesso tempo rappresentano un oasi di pace incontaminata, lontano dai rumori e dall’aria pesante da cui a volte si ha l’esigenza di stare lontani.

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Si tratta di case di campagna, in paesini piccoli, che spesso si sviluppano sui lati di un’unica strada. Hanno un limitato numero di stanze, accoglienti e con servizi, e costano pochissimo! Il prezzo varia dai 50 agli 80 lei al giorno a persona (meno di 20 euro), una piazzola in un campeggio del Gargano costa di piu’, ho appena verificato.

colazioneLa colazione è quella tipica rumena, formaggi, kiftele (polpette), zacusca (buonissima, ma pur sempre una peperonata), uova, oltre a marmellate, ecc. Tutto rigorosamente fatto e prodotto in casa, dato che orto e animali rientrano sovente nel contesto di queste abitazioni.
Molte volte dispongono del famoso carretto rumeno trainato dai cavalli e munito di targa, quello che si vede in quasi tutte le immagini della Romania, perchè non approfittare e fare un giro?
Tutto è molto autentico, soprattutto perchè non è ancora preso d’assalto dai turisti.
Se invece alla dimora semplice si preferisce una tenuta di campagna con un pò piu’ di charme, in Transilvania esistono le tenute di Carlo d’Inghilterra, che amando molto questo paesaggio, ha acquistato egli stesso delle proprietà, e viene in visita qui ogni anno.

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Dal 2000 al 2013 ha presieduto egli stesso la Mihail Eminescu Trust,un’organizzazione nata nel 1987, allo scopo di preservare e restaurare gli antichi villaggi.
Il rischio di questi borghi è sempre stato il deterioramento.
Prima con Ceausescu e la sua mania di sopprimerli in favore di un’industrializzazione forzata a scapito dell’agricoltura e degli antichi mestieri, e dopo con l’esodo post rivoluzione degli abitanti, per lo piu’ di origini sassoni, che tornavano in Germania.
Recentemente il principe ha anche lanciato una campagna per la tutela del patrimonio rurale rumeno, creando la prima fondazione che porta il suo nome fuori dalla Gran Bretagna, Commonwhealth e USA,spiegando in un’intervista il suo attaccamento a questo paese.

viscri-1Le sue tenute si trovano non lontano da Brasov e Sighisoara, e sono gestite dal Conte Kalnoky, che pare abbia legami di sangue con lui.
Una di queste è a Viscri, un villaggio sassone che si sviluppa intorno ad un’imponente chiesa fortificata del 1225, che insieme ad altre, fa parte del Patrimonio Mondiale dell’Unesco.