curtea de arges e dintorni

Senza saperlo Stefania ed io siamo state lo stesso giorno a Curtea de Arges. Curioso. Purtoppo non ci siamo incontrate, io venivo da nord-est, lei da sud.

Dopo aver passato il fine settimana a casa di un’amica Tedesca a Pestera, uno di miei posti preferiti, con un panorama che ogni volta mi sento in obbligo di fotografare, siamo partite in tre alla volta di Horezu.

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Lungo la strada abbiamo deciso di fermarci a Campolung, dove si trova l’epigrafe più antica della Romania (1300) sul sarcofago di Lorenzo da Lungo Campo, un cavaliere forse di origini italiane, e a Curtea de Arges.

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Lì abbiamo visitato le stesse due chiese di Stefania, ma la più bella è, indubbiamente, la Biserica Domneasca con i possenti pilastri su cui poggia la cupola, i colori degli affreschi, l’atmosfera.  Lo stile bizantino si vede sia nella pianta che all’esterno, decorato semplicemente con pietre e mattoni che formano delle geometrie. La chiesa è poco visitata, che è sicuramente un pregio, se si considera la bolgia che affolla invece il monastero.

Da Curtea de Arges abbiamo proseguito per Horezu dove siamo rimaste due giorni a esplorare la zona.

Se non fosse stato per l’aiuto di un amico del posto, non sarei mai riuscita a raggiungere quello che ho visto. Tutte e tre: Petra, Ruxandra (romena, storica dell’arte e direttrice di musei) e io conosciamo la Romania e parliamo Romeno, ma anche così non è facile entrare nella vita della gente.

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Siamo state a parlare con Aurica, 100 anni,  che durante la seconda Guerra Mondiale venne fatto prigioniero dai Russi e portato in Siberia. Abbiamo visto una chiesetta del 1487. La sua iconstasi apparteneva all’eremo di Sfantu Ioan, che venne distrutto dalla piena del fiume e l’iconostasi salvata dalle acque venne posta nella chiesa del villaggio. Siamo entrate in una delle poche case di campagna, ancora “in piedi”, che risale al 1800. Siamo passate per un paese di Rudarii, gli zingari che lavorano il legno. Abbiamo visto come una semplice famiglia romena, padre vedovo e 5 figli, con il lavoro manuale di tutti e un po’ di soldi fatti lavorando all’estero (non in Italia!) hanno costruito un “resort” per la pesca alla trota. E abbiamo finito a casa di Stefan in un trionfo di marmellate, sciroppi, formaggio fresco, cetriolini sott’aceto, frutta sciroppata e liquore di ciliegie, tutto fatto in casa. Abbiamo discusso di arte, storia, politica, religione, di corruzione e di quanto si potrebbe fare per salvare il patrimonio del Paese, se solo il denaro andasse nella direzione giusta. Mi sono fatta dare da Narcisa, la moglie di Stefan, varie ricette e abbiamo imparato che in campagna la gente si cura ancora con le piante, fa bene ed è anche gratis! L’aspirina? Perché comprarla? Basta la corteccia del Salice. Dalla Betulla, invece, si ricava un liquido denso come il miele, che cola, dopo aver inciso la corteccia, non ricordo a cosa serva, ma solo l’idea che si possa succhiare con una cannuccia la linfa di un albero mi fa impazzire!

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Dulcis in fundo, lungo la strada abbiamo incontrato due famiglie nomadi con carri e cavalli, sempre più raro di questi tempi.

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Chi fosse interessato a visite guidate di Bucarest o della Romania può contattare Ursula

 

 

 

 

 

 

 

Ramiro Ortiz, il padre della lingua italiana in Romania.

ortiz fotoPiù di una volta mi sono trovata a passare, a Chieti,dalle mie parti, in via Ramiro Ortiz, per me un illustre sconosciuto fino a pochi mesi fa. Ma ritrovando molto spesso qui in Romania il suo nome, e sapendo in seguito che era nato proprio a Chieti, la curiosità mi ha spinto ad informarmi.

Dopo essermi procurata la Commemorazione del Tagliavini del Dicembre 1948, ben 23 pagine sulla sua vita e i suoi scritti, gentilmente fornitami  dall’Università di Padova (grazie Marco!), mi trovo di fronte ad una di quelle “microstorie” nell’ambito di un gran pezzo di storia che è l’interbellico, caratterizzato dall’avvento e dalla permanenza del Fascismo.

Ramiro Ortiz è stato un professore che ha diviso la sua vita e il suo insegnamento tra Italia e Romania, che considerava entrambe “Patrie”. Titolare della prima cattedra di Lingua e Letteratura Italiana all’Università di Bucarest  e ivi fondatore dell’Istituto di Italiano di Cultura. Autore del volume di letteratura comparata Per la Storia della Letteratura Italiana in Romania, che lui stesso ha definito un libro d’amore e non di erudizione, e dell’esegesi della Divina Commedia. Ma il suo merito maggiore è stato certamente quello di aver dato ai lettori italiani la prima traduzione completa del massimo poeta rumeno: Mihai Eminescu.

Nel 1933 torna definitivamente in Italia come ordinario di Filologia Romanza nell’ateneo di Padova, pur non avendo mai aderito al Partito (a quei tempi per ricoprire un incarico pubblico era necessaria la tessera), i suoi meriti hanno costituito un’eccezione.

E poi i suoi rapporti umani, con i suoi due assistenti, Alexandru Marcu, filonazista che lo succederà nella cattedra, e diventerà sottosegretario alla Propaganda durante il regime di Antonescu, e la giovane Nina Facon, sua prediletta ed ebrea.

carteggioIl rapporto con quest’ultima è ben reso nel Carteggio di Doina Condrea Derer, ovvero lo scambio epistolare avvenuto tra loro dal 1933 al 1941.

“Carteggio”, una forma letteraria praticamente estinta, uccisa dalla posta elettronica…

Tra loro un’amicizia delicata, piena di rispetto, ma che lascia intravedere il tenero sentimento nato tra il docente e la sua assistente.

E’commovente vedere come si scusa per l’aspetto conciso delle missive (anche quando non lo erano), usando il termine “telegrafico”, ricevo mail dove alcuni, se potessero, scriverebbero direttamente in Morse…

Un’amicizia durata tutta una vita, che ha conosciuto il dramma delle leggi razziali (la giovane era venuta a Padova come collaboratrice, ma dopo la promulgazione di tali leggi dovette andare via ), e che ha visto il triste epilogo della fucilazione di Alexandru Marcu nel carcere di Vacaresti, con il comunismo.

L’amore per la lingua italiana ha legato queste tre persone, una passione che la Facon ha ben trasmesso ad i suoi allievi, facendo loro conoscere i poeti della Resistenza come Pavese, Vittorini, Morante. Un concetto ben difficile da far comprendere a giovani che vivevano la resistenza in maniera quasi passiva in quegli anni in Romania.

21 Mara ChiritescuMara Chiritescu, è stata una di loro. Ora gestisce la libreria Pavesiana, alle spalle del palazzo della Securitate. Un circolo intellettuale in cui ci si occupa di far conoscere la nostra cultura letteraria attraverso incontri ed opere tradotte.

Un luogo davvero piacevole, dove intrattenersi per un caffè ,  fare due chiacchiere “eccellenti” con la titolare e conoscere le persone interessanti che sono solite frequentarla.

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E proprio in occasione di una di queste conversazioni, la signora Mara  mi ha  ricordato  che durante il regime, la conoscenza di una lingua straniera era considerato un veicolo pericoloso, e non sempre la traduzione era consentita dalla censura.

il nome deIl Nome della Rosa, per esempio, tradotto da Florin Chiritescu, marito di Mara, per poter essere pubblicato, nell’84, ha richiesto la soppressione di tutti i riferimenti  alla Praga del ’68. E lei stessa ha scritto una lettera all’autore in cui chiedeva il consenso a  tale cancellazione, che naturalmente è stata accettata,  per avere l’opera tradotta anche in Rumeno.

Queste persone raccontano una vera passione per la lingua italiana…e volendo citare una frase proprio di Eminescu, tanto amato da Ortiz : “Le passioni abbassano, la passione eleva”.

 

Curtea De Arges

Curtea de Arges, a 160 km da Bucarest, è uno di quei luoghi non sufficientemente pubblicizzati sui siti turistici stranieri. Spesso si viene qui come base di partenza per la Tranfagarasan, ma in realtà meriterebbe una visita apposta.

E’ una delle città più antiche della Romania, succeduta a Campolung come capitale della Valacchia, anche se alcune controversie storiche basate su ritrovamenti archeologici, affermano il contrario.

Uno dei primi  monumenti che si incontrano entrando nella cittadina è la Biserica Domneasca (Chiesa Principesca), edificata a metà del 1300 da Basarab, principe della Valacchia  che  riuscì  ad  uscire  dal  ruolo  di  vassallo  ungherese, conquistando   l’indipendenza della regione.

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Dedicata a S.Nicola, quello che c’è di particolare riguarda gli affreschi che si trovano all’interno. Uno raffigura la “crocifissione di San Pietro”, che come nell’immagine del Caravaggio (del 1600), appare a testa in giù, per volere del martire stesso in segno di umiltà nei confronti di Cristo, come racconta Origene nella sua interpretazione delle Sacre Scritture.

maria inL’altro affresco che colpisce è l’ immagine della Vergine gravida, cosa che non si vede molto spesso nelle immagini sacre. Dare una forma  così umana, che sottintende l’aspetto terreno nonchè una certa sessualità, non è mai stato facile. Di solito nelle rare iconografie a riguardo, si è cercato di ovviare disegnando un libro (Antico Testamento)poggiato sul grembo, o altri simboli per esaltare l’ultraterrenità. Qualcuno ipotizza che tali rappresentazioni fossero addirittura dichiarate eretiche.

Poco distante, all’interno di un parco, l’impressionante Monastero (Chiesa Episcopale), in stile bizantino, fatto costruire nel 1514 da Neagoe Basarab, con marmi e mosaici provenienti da Costantinopoli.

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manolo All’edificazione di questa chiesa è legata la leggenda di Mastro Manolo, una ballata popolare diventata in seguito anche una celebre piecè teatrale ad opera del drammaturgo Lucian Blaga.  Essa narra  che questo monastero, fu costruito da 10 operai guidati da Mastro Manolo che vi murò sua moglie , viva,  come sacrificio supremo per la  creazione di un’opera unica ed irripetibile.

All’interno vi sono le tombe dei regnanti Carol I ed Elisabeta, e Ferdinando e Maria, di quest’ultima,si narra che abbia espresso il desiderio di vedere il suo cuore, racchiuso in uno scrigno d’oro, nella sua amata Balcic (prima che questa venisse ceduta alla Bulgaria).

Dietro il Monastero, nella Cappella, si trovano le spoglie di Sfanta Filofteia, la santa bambina amata da molti pellegrini che giungono da tutta la Romania a renderle omaggio.

Prima di ripartire, previa pausa in uno dei ristoranti sul viale principale, (il Restaurant Domnesc fa un’ottima pizza nel forno a legna), occorre fare una visita all’antica Stazione (Gara) Reale.

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Chiamata così perchè fatta costruire da Carol I, è una delle più belle della Romania, non a caso l’architetto che l’ha progettata è il nostro Giulio Magni, molto attivo, nel secolo scorso, in questa nazione. Nipote di Valadier (quello della casina),  vanta tra le sue opere il Ministero della Marina Militare di Roma e la collaborazione con Sacconi per la costruzione del Vittoriano.

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Al momento è inutilizzata, e piuttosto abbandonata, ma è possibile vedere attraverso i vetri gli interni, completamente in legno tipici delle stazioni di quell’epoca.

Chi fosse interessato a visite guidate di Bucarest o della Romania può contattare Ursula