La colonna di Traiano di Bucarest

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1900 anni fa circa moriva Traiano, l’optimus princeps, colui che portò l’impero romano alla sua massima espansione. A Roma, l’interessante mostra “ Traiano.Costruire l’Impero, creare l’Europa”è in programma fino a settembre ai Mercati Traianei . All’entrata, un’istallazione dell’artista rumena Luminiţa Țăranu, rappresenta la “Columna mutatio”, ovvero la mutazione che la colonna traiana ha avuto nell’arco dei secoli trascorsi.

Infatti da monumento celebrativo per la vittoria di Roma sui Daci, è diventata ora orgoglio di discendenza per il popolo rumeno. Al termine della mostra l’istallazione sarà traferita a Bucarest, andando a fare compagnia all’altra colonna, quella storica. trajan-s-column-rome-italy+1152_12912415803-tpfil02aw-28637Ovviamente sto parlando di una copia, l’autentica opera scultorea si trova ai Fori Imperiali, ormai è parte del paesaggio urbano. Ma quanti l’hanno vista? Intendo dire per tutta la sua lunghezza (o meglio dire altezza). Un libro di pietra alto quanto un palazzo di 12 piani.

Le 125 tavole dei calchi,realizzate da Napoleone, si trovano al Museo della Civiltà Romana, chiuso da qualche anno per lavori. La copia presente a Londra, al Victoria and Albert Museum è divisa in due, per stare tutta nella sala, quindi i particolari non sono visibili da vicino.Questo significa chel’unica possibilità,al momento, di poterla visionare da vicino è una visita al Museo Nazionale di Storia di Bucarest. Io l’ho fatta due giorni fa, dopo aver rivisto la bellissima puntata di Ulisse, in cui Alberto Angela ne racconta la storia.

I calchi di Bucarest sono stati realizzati da artigiani vaticani negli anni ’40 su sollecito di Emil Panaitescu, allora direttore dell’Accademia di Romania a Roma e sotto la supervisione di Italo Gismondi, e costarono circa 6 milioni di Lei.

Ma la Guerra e il comunismo, con la conseguente rottura dei rapporti col Vaticano, hanno ritardato la consegna. Solo nel 1967 sono stati caricati su 18 vagoni e portati in Romania.

calco colonna didascOgni tavola rappresenta un fotogramma di quel “Colossal” che è stata la conquista della Dacia e la fine di Decebal. Ma a parte questo è l’opera che fornisce il maggior numero di dettagli di quella che era la vita dei soldati romani in quei tempi. Gli abiti, le armature, gli scenari. E poi i cibi, gli usi, come costruivano i castra, i ponti, insomma un vero e proprio reportage di duemila anni fa.

cmbattIn molte delle scene scolpite ho rivisto immagini di film famosi.

testuggTecniche di combattimento come la “testuggine”, dove l’assembramento di scudi quadrangolari offriva una grande protezione per avanzare.

draco“Il Draco”, lo stendardo dei Daci (una testa di lupo fissata su un palo che attraverso un ingegnoso sistema interiore, sotto l’azione delle correnti d’aria, produceva un potente fischio, che aveva l’effetto di incoraggiare i propri combattenti e spaventare il nemico).

Ed ancora la Battaglia di Tape, le armature dei Sarmati, fino ad arrivare alla fine di Decebal, che pur di non cadere in mani nemiche ha preferito tagliarsi la gola.

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La vittoria fruttò a Roma un ricco bottino, centinaia di migliaia di kg di oro e argento.

La leggenda del tesoro di Decebal è curiosa e merita di essere raccontata. Si narra che il re dei Daci avesse deviato il corso del fiume Sargezia, scavato una buca nel letto e dopo aver  nascosto il tesoro, avrebbe riportato il fiume al suo posto. Un nascondiglio sicuro se non fosse stato rivelato al nemico da Bicilis,  un suo soldato.

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Le celebrazioni per la vittoria a Roma  durarono 123 giorni, con feste e donazioni in cibo a circa 500 000 persone. Successivamente con lo sfruttamento delle risorse della Dacia l’imperatore ripristinò il bilancio per i successivi 150 anni.

 

Chi fosse interessato a visite guidate di Bucarest o della Romania può contattare Ursula.

 

 

 

Arte contemporanea in Romania

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Şerban Savu, Weekend 2 , 2007

Qualche giorno fa mi è capitato di conoscere Sandro Naglia , direttore d’orchestra e tenore, in Romania per un concerto. Pur essendo nato a Potenza e vivendo da anni in Veneto,è cresciuto nella mia cara Pescara. Complice la comune “abruzzesità”, l’indomani decidiamo di fare insieme un giro della città, puntando su quei luoghi che escono fuori dai soliti itinerari turistici.E così, nell’atmosfera berlinese di uno dei miei ristoranti preferiti di Bucarest(l’Alt Shift), di fronte alla parete raffigurante il fraterno bacio di Breznev e Honecker, Sandro mi racconta della sua grande passione per l’arte contemporanea e della sua collaborazione con il sito Collezione da Tiffany.

Non l’ho mai fatto prima, ma dopo aver letto il suo interessante resoconto di una giornata dedicata totalmente all’arte rumena contemporanea, ho deciso di riportarlo per intero.

Buona lettura!

Una gita a… Bucarest: arte contemporanea in Romania.

Dite la verità: cosa conoscete di arte contemporanea romena? Credo che i primi nomi che vengano in mente nel rispondere a questa domanda, per motivi quasi opposti e includendo involontariamente in un arco temporale tutto il Novecento, siano quelli di Constantin Brâncuşi e di Adrian Ghenie. Il primo (1876-1957) è stato uno dei più grandi scultori del XX secolo; il secondo (n. 1977) è uno dei giovani pittori contemporanei attualmente più in crescita nel mercato dell’arte: dopo aver stabilito nel febbraio 2016 in un’asta londinese di Sotheby’s il record assoluto per un dipinto di artista romeno, con I girasoli del 1937 battuto a 2,6 milioni di sterline (hammer price), ha poi surclassato il proprio record nell’ottobre successivo, sempre a Londra, con Nickelodeon venduto a 6,2 milioni di sterline da Christie’s.

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Adrian Ghenie, Nickelodeon, 2008

Tra questi due nomi in verità non molto è passato nella storia dell’arte romena, almeno quanto a visibilità internazionale, anche a causa delle note vicende politiche della nazione; si possono citare i nomi di Victor Brauner (1903-1966), Daniel Spoerri (1930) e Ana Lupas (1940), oggetto — quest’ultima — di riscoperta in questi recentissimi anni: ultimamente la Tate Modern ha acquisito ed esposto una sua installazione, The solemn process (realizzata in tre diverse fasi tra il 1964 e il 2008), e la Lupas è presente anche nella mostra in corso al Museion di Bolzano The force of photography. Ghenie a sua volta è la punta di diamante di una generazione di giovani artisti romeni che vede protagonisti, a livello internazionale, anche Victor Man (1974) e Mircea Cantor (1977), il primo con la sua pittura dai colori scuri piena di reminiscenze iconografiche, il secondo con la sua rivisitazione poetica della pratica del ready-made.

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Mircea Cantor, Rosace, 2007

Con la mia curiosità per la produzione artistica dei paesi poco sotto i riflettori, e approfittando di un soggiorno a Bucarest (ospitato, in maniera squisita, dall’Istituto Italiano di Cultura), decido di approfondire il panorama dell’arte contemporanea in Romania con la visita a un museo e a qualche galleria “di tendenza”. Il museo è ovviamente il Museo Nazionale di Arte Contemporanea, creato nel 2001 e dal 2004 insediato in un’ala del celebre e immenso Palazzo del Parlamento voluto da Ceauşescu negli anni Ottanta. Il Museo (che ha ospitato mostre curate, tra gli altri, da Hans Ulrich Obrist e Nicholas Bourriaud) si sviluppa su cinque livelli: un parterre e quattro piani con grandi e ariosi spazi in un elegante allestimento. L’ingresso è gratuito. Vi trovo in corso sei eventi: due retrospettive (Mihai Olos e Nistor Coita – entrambe fino al 26 aprile), la prima mostra in Romania dell’artista austriaco Oliver Ressler (Proprietatea e furt – La proprietà è furto, anch’essa aperta fino al 26 aprile), la performance di Cian McConn&Vivienne Griffin EU ≤ NOI / I as in Us (cui però non sono riuscito ad assistere – proposta fino al 23 aprile), un allestimento di video di Irina Botea Bucan (26 aprile) e — nel parterre — Another view on the collection as archive, che durerà invece fino all’8 ottobre.

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Il Muzeul Naţional de Artă Contemporană di Bucarest

Quest’ultimo è un allestimento sorprendente e affascinante: in pratica la messa in mostra (o la riproduzione) del magazzino del museo con le opere affastellate in ordine sparso, ognuna col suo cartellino identificativo d’inventario. Le une accanto alle altre, troviamo opere di ispirazione modernista (in alcuni casi Brâncuşi ha fatto scuola!), astratto informale e materico, Realismo Socialista e perfino arte cinetica e qualche installazione — alquanto sconosciuti gli autori, a parte una grande tela (cm 100×350) di Mircea Cantor: Cer variabil (Cielo variabile, 2007-2013), donata recentemente dall’artista. Facile a volte riconoscere i modelli occidentali cui questi artisti guardavano. Affiorano poi tutta una serie di busti e ritratti di Ceauşescu, da solo o con la moglie Elena, alcuni in uno stile più vicino al Realismo Socialista di stampo cinese post-Rivoluzione Culturale che a quello propriamente sovietico — effettivamente dagli anni ’70 in poi Ceauşescu si avvicinò ai modelli comunisti dell’estremo oriente —, alcuni altri, invece, anche interessanti dal punto di vista pittorico.

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Una vista di Another view on the collection as archive

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Mihai Olos, Untitled, oil on wood, 30 x 20 cm., courtesy of Olos Estate.

La grande retrospettiva dedicata a Mihai Olos (1940-2015) attraversa tutte le proteiformi fasi di questo artista di per sé proteiforme (fu anche poeta, saggista e performer): dall’astrattismo virante verso la op-art degli anni Sessanta al figurativismo di marca surrealista degli anni Ottanta che richiama soprattutto Masson (e, curiosamente, qualche volta anche Luigi Ontani); dalla grande installazione per il Cinema “Dacia” di Baia Mare, realizzata con placche di alluminio lavorato (di cui viene ricostruita solo una parte, perché l’originale intero copriva 120 mq di superficie) alle sculture in legno e ceramica. Tuttavia la parte più interessante della sua produzione mi appare quella delle piccole sculture — tra costruttivismo e origami, se mi permettete questo paradosso — realizzate letteralmente con ogni tipo di materiale: carta, cartone (inclusi sottobicchieri da birreria e cartone pressato per confezioni di uova), spago, matite, garza, plastica, polistirolo ecc. Di qui soprattutto il titolo dato alla mostra: Efemeristul / The Ephemerist.

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Nistor Coita, Sauroctonies, acrylic on canvas, 115 x 99 cm, 2011, photo Ioan Cuciurcă, courtesy of Irina Predescu.

 

Meno affascinante l’opera di Nistor Coita (1943), il cui segno un po’ ossessivo dà vita a figurette di volta in volta angeliche o archetipiche, spesso con una forte valenza erotica che le apparenta lontanamente a certe immagini di Carol Rama. Personalmente di questo artista trovo più interessanti le incisioni che le pitture. Il percorso video di Irina Botea Bucan (1974) Apostrof. Totul a început cu o ezitare a portarului (Apostrofe. Tutto è iniziato con l’esitazione del portiere) costituisce la sesta e ultima parte di un progetto iniziato nel 2014 e intitolato Punctul alb şi cubul negru (Il punto bianco e il cubo nero): tredici in totale i video proiettati (di cui sei riuniti in un’unica installazione), realizzati tra il 2003 e il 2016. La Bucan ha partecipato nel 2013 alla Biennale di Venezia, e ha esposto anche al Centre Pompidou, al Jeu de Paume, al Reina Sofia di Madrid e alla Biennale di Gwangju.

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Irina Botea Bucan, Impersonation, still da video, 2014

 

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Oana Năstăsache, Senza titolo, 2015

Bucarest ha, ovviamente, anche alcune gallerie d’arte “di tendenza”: una delle più note è la 418 Gallery, che ha appena concluso una collettiva intitolata An abstract feeling – Young Romanian artists con la partecipazione di sei artisti giovanissimi, tra i quali trovo promettente Oana Năstăsache (1992). Vi sono poi le due gallerie “internazionali” di Bucarest: la Galeria Nicodim , la cui prima sede è stata aperta a Los Angeles nel 2006 (poi a Bucarest nel 2012), e la Anaid Art Gallery, che dall’anno passato ha aperto una sede anche a Berlino. Altre gallerie d’arte contemporanea degne di nota sono Aiurart ; H’art, che ha una seconda sala H’art Appendix in Calea Victoriei, la “spina dorsale” del centro di Bucarest; Zorzini . Vi è poi Artmark , (in un palazzo ottocentesco dai bellissimi interni) che è galleria ma soprattutto casa d’aste: tra le opere esposte, mescolate a memorabilia calcistiche (inclusa la maglia indossata dal tale giocatore nella tale partita, perfettamente incorniciata…), trovo una scultura-assemblage di Spoerri degli anni ’70 (Raccourci), una bella tecnica mista 40×30 cm di Ghenie del 2001 (Enigma), alcuni quadri figurativi interessanti di Şerban Savu (1978) e anche un piccolo studio, matita su carta, di Nicolae Grigorescu (1838-1907) che è stato il più grande pittore romeno dell’Ottocento, formatosi in Francia alla Scuola di Barbizon.

A questo proposito, segnalo anche che al Museo dei Collezionisti d’Arte — creato nel 1978 e basato sulle grandi collezioni private confiscate dallo Stato all’epoca dell’insediamento del regime comunista (rinnovato poi nel 2003 con un nuovo allestimento) — è in corso fino al 30 aprile la mostra Pittura romena (1875-1945) dalla Collezione della Fondazione Bonte. Una sessantina le tele esposte (in generale di non eccezionale interesse) di alcuni tra i maggiori pittori romeni attivi nella prima metà del XX secolo, tra cui lo stesso Grigorescu (bello il piccolo Vaso con fiori di primavera), Ştefan Dimitrescu (1886-1933 — bello un suo Nudo) e Ştefan Popescu (1872-1948), di cui è esposto un cezanniano Paesaggio con alberi.